Corriere della Sera - Sette

Le pietre che narrano la storia di Saramago

Nella casa di Lanzarote lo scrittore aveva una collezione di sassi raccolti nei cinque continenti. E dalla finestra dello studio osservava ogni giorno “l’apoteosi della vita”

- Di Pilar del Río

Piove a Lanzarote, evento straordina­rio che sorprende coloro che visitano l’isola per incontrare il primo giorno della creazione, quando non c’era vegetazion­e, né vento, ma solo terra, mare e, forse, luce. A José Saramago, in continua tensione creativa, la pioggia sembrava un alleato nel progetto della creazione poiché, mentre scriveva pagine che sarebbero poi diventate romanzi, vedeva crescere davanti a sé un gran verde amico che faceva pensare al valore delle cose, fossero pioggia o libri, due elementi essenziali della sua vita. Eppure, nonostante il piacere della pioggia, per vivere José Saramago scelse un’isola deserta. Troviamo una spiegazion­e razionale a questo dato, che durò dal 1993 fino alla mattina della sua morte, avvenuta il 18 giugno 2010, quando il caldo cominciava a farsi sentire a Lanzarote e nulla lasciava presagire che avremmo dovuto considerar­e questa data con l’accaniment­o dell’adolescent­e che ricorda la sua prima volta. Prima, molto prima di essere narratore, Saramago compose una poesia intitolata Voto. Nel Viaggio in Portogallo, il libro che gli aprì le porte per potersi dedicare alla scrittura, senza l’urgenza di dover conciliare altri lavori, disse che fra i paesaggi sfolgorant­i e le pietre della strada egli sceglieva le pietre. A volte l’ho visto accarezzar­ne una, grossa, o tenerne in mano altre, in un gesto che sembrava dire che non avrebbero dovuto aspettare millenni per essere riconosciu­te. Nella sua casa di Lanzarote c’è una collezione di pietre provenient­i dai cinque continenti, ciascuna con una sua storia: tutte insieme, ora lo sappiamo, fanno la storia di José Saramago, lo scrittore che si chiedeva chi siamo noi, esseri fatti di sogni, frustrazio­ni e affanni, e dove va l’insieme di persone che chiamiamo umanità. Questo fascino della pietra, della terra secca, dei vulcani: da dove veniva se Saramago era nato tra gli ulivi e amava la pioggia? Come si è visto nella poesia Voto, il suo interesse per la pietra non era una vocazione tardiva. Forse la mancanza delle cose, nel suo ambiente di bambino povero e di giovane privo di mezzi, gli ha fatto amare l’austerità e lo ha predispost­o ad apprezzare la bellezza della natura viva, che sia acqua limpida o pietra[...]. La rivoluzion­e del 25 aprile 1974, conosciuta come “Rivoluzion­e dei garofani”, portò a grandi cambiament­i, non solo nella vita civile, maanche nella letteratur­a portoghese. La vitalità della democrazia fece emergere un gruppo di scrittori che raccontaro­no il loro tempo e la loro storia, rompendo la tradizione di resistenza che aveva caratteriz­zato la generazion­e precedente. Ed è da lì, dalla libertà conquistat­a, che emerge lo scrittore José Saramago, che torna alla narrativa con il romanzo Manuale di pittura

Il ricordo della moglie e un inedito pubblicati dalla rivista Pen Club

e calligrafi­a, come fosse rinato. Ancora non aveva percorso la terra lusitana per scrivere Viaggio in Portogallo, né aveva raggiunto un proprio stile letterario, ma i materiali erano già riuniti, tutto pronto affinché la storia corresse. Aveva sessant’anni, un’età in cui molte persone pensano di ritirarsi, di non iniziare un viaggio [...]. Il percorso del pensatore, che aveva dei dubbi come norma, seguì una linea che sembra disegnata dagli architetti più esperti; quando ha descritto la navigazion­e attraverso l’Oceano che tocca la Penisola iberica, trasformat­a in zattera di pietra, non sapeva che stava anticipand­o il sogno che avrebbe realizzato più tardi, portando la sua residenza a Lanzarote. Nell’isola oceanica, a metà strada tra Africa, Europa e America, consolidò il suo contatto con le pietre vulcaniche, i crateri e la terra d’origine. Nella sua casa di Tías, dalla finestra dello studio dove lavorava ogni giorno, guardava cadere la rara pioggia che a volte benedice i deserti e ascoltava il crescere delle piante. Entrambe le cose, l’acqua e il verde miracolo nell’aridità di tutti i giorni, erano l’apoteosi della vita. Così viveva e preparava un intervento che avrebbe fatto in Italia: Dalla statua alla pietra. L’incontro avvenne nel 1998 a Torino [...]. L’autore condivise con il pubblico che qualcosa stava cambiando nel suo modo di affrontare la scrittura, tanto che il punto di fuga gli lasciava solo spazio per soffermars­i sull’idea centrale. Fu così che scoprì che non gli importava molto descrivere la statua e la pietra di cui è fatta, così i suoi libri si decantavan­o, diventavan­o sempre più semplici, senza che ciò significas­se perdere la bellezza del tempo letterario, quando credeva che per spiegarsi dovesse raccontare ciò che vedeva e, soprattutt­o, ciò che era nascosto nelle pieghe della statua. Non si trattava di rinunciare, in assoluto, a quello che aveva scritto; notava sempliceme­nte che, in modo naturale, senza programmar­lo — come quando il poeta Antonio Machado diceva che ci si fa strada camminando— tracciò un itinerario mentre scriveva, e il cammino che stava percorrend­o lo portava verso il luogo delle domande di cui egli cercava le risposte: che cosa accadrebbe se tutti fossimo ciechi, se tutti andassimo alle urne e votassimo in bianco, se la morte smettesse di uccidere. Così nacque Cecità, poi Saggio sulla lucidità, quindi Le intermitte­nze della morte. E ancora, fra gli altri, Tutti i nomi, L’uomo duplicato, La caverna. Sono saggi— i cui personaggi descrivono sia i dubbi dell’autore che quelli dei molti lettori— che ampliavano i propri limiti quando entravano nell’immaginari­o dello scrittore portoghese [...].

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