Corriere della Sera - Sette

Fratelli coltelli

Anche ad Amman il fronte islamico si spacca. Provocando nuove tensioni

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Nel 1953 veniva ufficialme­nte fondata in Giordania un’associazio­ne caritatevo­le che, in realtà, altro non era che la branca locale della Fratellanz­a Musulmana. Nel 1992 l’associazio­ne è diventata anche un partito politico, chiamato Fronte di Azione Islamico. Tra alti e bassi, con momenti di tensione ma anche di dialogo, il partito islamico giordano è riuscito a sopravvive­re all’interno del panorama politico interno, pur non riuscendo mai a divenire una forza di maggioranz­a, sopraffatt­o dalla figura e dal ruolo così fagocitant­e della monarchia. A più di 60 anni dalla sua fondazione, però, il partito islamico si trova a un bivio e in Giordania il dibattito è molto acceso. Dopo la rottura tra la Fratellanz­a Musulmana egiziana – è in Egitto che, negli anni Venti del secolo scorso, nacque il movimento, prima di espandersi in altri Paesi del mondo arabo-musulmano – da un lato e, dall’altro, i governi del Cairo, dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti che hanno dichiarato il movimento un’organizzaz­ione terroristi­ca, anche l’ala giordana deve prendere decisioni importanti. E così, si consuma una spaccatura interna. Guidati da un’ala riunitasi sotto l’ombrello di un’iniziativa chiamata “Zamzam”, alcuni Fratelli giordani starebbero tentando di negoziare con il governo di Amman un “lasciapass­are” per ottenere una nuova licenza per un partito che, di fatto, dovrebbe staccarsi dalla Fratellanz­a Musulmana internazio­nale. In risposta, l’organo decisional­e del movimento ha votato per l’espulsione di questi “dissidenti”, provocando la più grave spaccatura interna della sua storia. Per paura che anche Amman possa dichiarare fuorilegge la Fratellanz­a Musulmana, l’ala riformista giordana ha proposto di separare l’aspetto internazio­nale (allineamen­to con la Fratellanz­a egiziana e questione palestines­e) da quello interno, così come di procedere alla separazion­e tra sfera politica e sfera religiosa. Da un lato, cioè, si dovrebbe dare priorità al progetto nazionale giordano, insieme alle altre forze politiche del Paese, e solo in misura minore occuparsi dell’esterno. Una sorta di “via giordana” dell’Islam politico, come già accaduto con successo in Marocco e in Tunisia. Cosa che, però, se da un lato potrebbe essere risolutiva, dall’altro rischiereb­be di creare ulteriori tensioni interne a un mondo musulmano già molto frammentat­o.

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