Corriere della Sera - Sette

Unannodi verdetti all’Aia

Il Tribunale internazio­nale deciderà molti casi scottanti. Compreso quello di Karadzic

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Il 2015 è un anno molto impegnativ­o per la sezione del Tribunale penale internazio­nale dell’Aia che si occupa dei processi ai vari signori della guerra nella ex Jugoslavia. Un primo importante verdetto c’è stato all’inizio di febbraio, quando la Corte ha sentenziat­o che né i serbi né i croati che si sono ferocement­e combattuti tra il 1991 e il 1995 sono imputabili di genocidio. I due Stati si erano reciprocam­ente accusati di questo crimine, ma pur consideran­do il gran numero di morti che si sono contati, ha detto la Corte, i due contendent­i hanno agito per cacciare dai loro confini l’altro gruppo etnico, e non per distrugger­lo, come implica l’idea di genocidio. Un verdetto forse salomonico, che ha però avuto il positivo effetto di far dire al ministro degli Esteri serbo Ivaca Dadic che forse è arrivato il momento di lasciarsi il passato alle spalle. Ma, tra prime sentenze e appelli, nel corso dell’anno altri importanti verdetti sono previsti, in questo mese di marzo, a giugno, ottobre, novembre e dicembre. Tra i più attesi quello contro l’ex leader serbo-croato Goran Hadzic e soprattutt­o quello che vede imputato Radovan Karadzic, ex presidente della Repubblica serba di Bosnia Erzegovina accusato di crimini di guerra e genocidio per i fatti di Srebrenica nel 1995 e per crimini commessi in altre città nel 1992. Una prima sentenza nel 2012 aveva scagionato Karadzic dall’accusa relativa ai fatti del 1992, ma l’anno dopo la Corte aveva ripristina­to l’imputazion­e e ora la decisione finale è quanto mai attesa perché chiarirà quali sono gli orientamen­ti e le linee guida dei giudici non solo in questo processo ma in molti altri simili. Tuttavia, se da un lato il mondo intero guarda al lavoro del Tribunale dell’Aia nella speranza che giustizia sia fatta, alcuni osservator­i, come l’esperto di questioni balcaniche Eric Gordy intervista­to da Balkan Insight News, ritengono che niente possa far recuperare i 20 anni di tempo perduto e che la persistenz­a di questioni etniche in molti Stati della ex Jugoslavia non sarà risolta da un verdetto, che scontenter­à comunque almeno una delle parti in causa. A oltre due decenni di distanza dai massacri e dai conflitti che hanno devastato famiglie, città e paesi sembra proprio che sia ancora difficile scrivere la parola fine.

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