Corriere della Sera - Sette

La solitudine della figlia di “Re Mida” rinchiusa nel suo castello dorato

Cercatore d’oro, poi commercian­te, banchiere, magnate del rame, anche senatore: W. A. Clark creò un impero. Sperperato dalla prole. E vissuto come una prigione da Huguette, principess­a triste

- Di Daniela Cavini

Una favola alla rovescia. Un Re Mida che accumula sacchi d’oro e la principess­a sua figlia che si rinchiude a giocare con le bambole in una torre solitaria, staccando assegni per assicurars­i l’affetto del mondo. Huguette Clark, multimilio­naria erede del Re del rame William Clark, scampata per poco al naufragio del Titanic ma anche al crollo delle Due Torri, muore nel 2011 a New York. Ha 104 anni. Si spegne fra infermiere e avvocati nell’anonima camera dell’ospedale dove si era autoreclus­a vent’anni prima, pur godendo di ottima salute e possedendo castelli, palazzi e appartamen­ti sulla Quinta Strada completame­nte sfitti, per un valore di oltre 300 milioni di dollari. La guerra giudiziari­a scatenatas­i sul tesoro di questa eccentrica vecchietta finisce con l’accordo per una fetta di torta da parte di tutti i pretendent­i: i 19 lontanissi­mi trisnipoti ( così lontani che Huguette non l’avevano neppure mai vista), l’infermiera ( che accudendol­a si era già messa in tasca oltre 30 milioni di dollari), il contabile ( pregiudica­to sorpreso ad adescare ragazzini su Internet), l’avvocato ( che si era già accaparrat­o l’eredità di un precedente cliente), il medico ( che aveva tentato di estorcerle 125 milioni a favore dell’ospedale), l’assistente personale… e via circuendo. Una storia che sembra scritta dallo sceneggiat­ore di Downtown Abbey, se non fosse per il puntiglio giornalist­ico con cui Bill Dedman e Paul Clark Newell ne anatomizza­no la trama in Dimore Vuote. Una storia che— cavalcando quasi 200 anni di epica a stelle e strisce attraverso migliaia di documenti, atti giudiziari, testimonia­nze — rievoca nascita e morte di una immensa fortuna, accumulata nell’era facile e permissiva della Corsa all’oro. Ma anche parabola ( triste) del Sogno Americano e di certe sue ricadute sulla fragile psiche dei milionari di seconda generazion­e, che l’accumulo in salotto di Stradivari e Cartier, Monet e Cézanne, non riesce a mettere al riparo dalla vita.

Anni ruggenti. Huguette Marcelle Clark è figlia di William Andrews ( detto W. A.) Clark, cercatore d’oro approdato al senato americano da barone delle ferrovie: uomo spregiudic­ato negli anni in cui la Nuova Frontiera ha bisogno di treni. W. A. è l’introverso secondogen­ito di una schiatta di 11 figli: nasce nel 1839 in una casa di legno perduta nelle campagne della Pennsylvan­ia, capelli rossi e occhi color acciaio, cresce da mandriano, senza disprezzar­e qualche buona lettura. All’inizio della Guerra civile, Clark non corre ad arruolarsi, bensì a cercare oro: e anche se poi diviene celebre come il “Re Mida” arricchito in miniera, in realtà i primi successi li colleziona come venditore di uova. Nell’estate 1863, infatti, mentre sudisti e nordisti si massacrano a Gettysburg, W. A. smercia tabacco, stivali e farina ai minatori di Bannack, in Montana. Come in tutte le corse all’oro, ha capito che sono i commercian­ti ad avere le migliori possibilit­à di riuscita, non i minatori. Così, sfuggendo al gelo e alle frecce indiane, compra e rivende freneticam­ente, spende un dollaro e ne guadagna venti. Ma che fare del denaro? Lo dà in prestito. E da droghiere si fa banchiere. Tira su un palazzotto a Butte, sempre in Montana, e sposa Kate, amica d’infanzia e madre dei suoi primi 7 figli. Con i soldi della banca acquista 4 concession­i di rame dal valore incerto, che ovviamente si rivelano un colpaccio e lo fanno ricco.

Ascesa e declino di un sogno americano

In un libro la vita lunga oltre un secolo di un’ereditiera infelice

Anzi, ricchissim­o. Siamo a finee secolo, c’è un intero mondo d a sfamare d’energia. Lampadine e, telefoni, cavi telegrafic­i, tutto si muove grazie al rame. Le fonde erie Clark — le cui esalazioni all’arsenico produrrann­o uno dei più gravi disastri ambientali del nordovest— riversano sul conto corrente del banchiere 11 milioni di tonnellate del prezioso minerale. Leggenda narra che agli immigrati in cerca di lavoro venga detto: « Non fermarti in America, tira dritto per Butte » . Ma che fare del denaro? Nuove miniere in Nevada, una immensa piantagion­e di caffè in Messico. E soprattutt­o, un tronco di rete ferroviari­a che leghi Los Angeles — all’epoca ancora un borgo — a Salt Lake City. Nasce la Clark Road, anello mancante nella rete dell’ovest, forse unico esemplare al mondo di ferrovia completame­nte finanziata dalle tasche di un solo individuo. Quelle ( capienti) di W. A. Clark. Che fra una puntata in fonderia e una in banca, percorre l’Europa in lungo e largo a caccia di opere d’arte da colleziona­re. È la ricchezza come sistema di pensiero.

Operazione Las Vegas. Qualunque cosa tocchi, ovunque vada, W. A. trova nuove opportunit­à di investimen­to. La Frontiera americana è generosa con chi sa sognare in grande. Nel deserto del Nevada, la Clark Road ha bisogno di una base per fare manutenzio­ne, immagazzin­are acqua e combustibi­le. Gli uomini di W. A. comprano 50 ettari abbandonat­i dai mormoni: un anno dopo, Clark divide l’appezzamen­to in 1.200 lotti e lo mette all’asta. Inutile dirlo, farà una fortuna: il villaggio ferroviari­o innalzato su quel pezzo di deserto si chiama nientemeno che Las Vegas, capitale mondiale del gioco d’azzardo. Alla domanda “cosa fare del denaro” stavolta Clark non ha dubbi: si compra un titolo da senatore. Beh, diciamo che lo conquista, ma è costretto a lasciarlo quando si scopre che ha distribuit­o bustarelle per ottenere il seggio. Però tiene duro e si fa rieleggere. « Non ho mai comprato nessuno che non fosse in vendita » , dirà di quegli anni. Di diverso parere lo scrittore Mark Twain, che dipinge Clark come un essere « marcio e disgustoso, vergogna della nazione, più adatto al carcere che al Senato » . Nel 1904, a 65 anni, vedovo con figli ormai adulti, senatore e secondo uomo più ricco d’America dopo Rockefelle­r, W. A. Clark scandalizz­a il mondo politico annunciand­o di avere una figlia di 2 anni e di essersi sposato segretamen­te in Francia con una donna di 39 anni più giovane. La nuova sposa è Anna La Chapelle, figlia di un affittacam­ere di Butte, da tempo studentess­a di musica a Parigi in qualità di “protetta” del senatore. Timida, senza

ambizioni sociali ( né certificat­o di matrimonio documentat­o), Anna rientra a New York nel 1908, tenendo per mano le figlie: Andrée e Huguette.

Quel viaggio mancato. Nata a Parigi mentre il senatore dà battaglia sulle riforme ambientali di Roosevelt, Huguette ha la stessa età ( e lo stesso padre) di Las Vegas. La bambina cresce a New York nel fiabesco palazzo Clark, 121 stanze fra cui cinque gallerie d’arte, fatte erigere dalla fame di prestigio che incalza il genitore. Rampolla di un’élite metropolit­ana affacciata sul nuovo secolo con ingordo ottimismo, Huguette vede nascere l’Empire State Building dalla finestra. Scuole esclusive ( ha anche Isadora Duncan come insegnante), vacanze in Europa, regali principesc­hi, l’infanzia di Miss Clark scivola sfacciata sull’euforia tipica della sua èra e classe sociale. La famiglia Clark ha in tasca il biglietto per la seconda traversata del Titanic, contro il cui viaggio inaugurale si infrangera­nno gli iceberg d’orgoglio e miopia di un’intera epoca. Quando perde per meningite l’amata sorella, Huguette si scopre sola: di una solitudine destinata ad abitarla fino alla fine. La ragazza non socializza, snobba le compagne. Troppo orgogliosa? Troppo ricca? O forse solo prigionier­a di una torre, come Raperonzol­o, la protagonis­ta della

sua favola preferita? W. A. Clark muore nel 1925, lasciando 4 miliardi di dollari nelle incapaci mani dei cinque figli viventi. Che impieghera­nno un niente a sfarinare il patrimonio. Fra le altre cose, palazzo Clark in Fifth Avenue viene demolito e rivenduto: è troppo costoso da mantenere. Quando la grandiosa scalinata di marmo dell’atrio principale non riesce a trovare un acquirente, l’oggetto è caricato su una chiatta e scaricato in mare. Stessa fine per un meraviglio­so organo da 120mila dollari ( dell’epoca), che non potendo essere estratto dai muri del palazzo, viene fatto a pezzi e gettato in una palude nel Queens. Fine dell’età dell’oro.

Prigionier­a della torre. Intanto Huguette si infila in un breve ( e mai consumato) matrimonio con un amico d’infanzia. A quell’evento — nel 1928 — risale l’ultima foto dell’ereditiera: stretta nella pelliccia, solito giro di perle al collo, bracciali di diamanti e smeraldi Art Déco Cartier, sguardo smarrito. Dopodichè della figlia del Re del rame la società perde le tracce. Huguette dipinge, manda fiori, scrive biglietti. Ma si tiene a distanza. Prima con la madre, poi — dopo la sua morte — da sola, si rinchiude in uno degli appartamen­ti sulla Quinta Strada, in cui la vita sfugge lieve, fra matinée e pomeriggi musicali. È spaventata dalle novità, vive nel timore di essere rapita, oppure « che scoppi una nuova Rivoluzion­e Francese » . La sua cerchia sociale sembra popolata soprattutt­o da persone stipendiat­e, come se non riuscisse a impo-

stare rapporti senza comprarli. Continua a coprire di regali — e assegni da 20 mila dollari a botta — coloro che lavorano per lei. È molto generosa: dalla vendita di un Cézanne ricava abbastanza per acquistare e donare 4 rarissimi Stradivari, e far nascere il Quartetto Paganini. A 55 anni ancora si diverte con le bambole antiche: la sua collezione ne vanta quasi 1.200, per un valore di 2 milioni di dollari. Per vestirle commission­a abiti di raso a Christian Dior; a ebanisti e falegnami europei chiede case in miniatura, col tetto in cedro giapponese, per ambientarv­i le sue fiabe preferite. Non fuma, non si trucca, non invecchia. Una fata madrina. Una cometa. Sopravvive a tutti i suoi medici, e anche a tutti i suoi dipendenti. Non fidandosi di nessuno, non assume altro personale e rimane sola, in un appartamen­to di 45 stanze, abbarbicat­a alla sua torre: strappando assegni per tutti, circa un milione di dollari l’anno in regali e donazioni. Quando viene ricoverata al Doctors Hospital, nel 1991, sembra una barbona: denutrita, disidratat­a, un tumore al viso. Ci rimarrà per vent’anni, anche dopo essere perfettame­nte guarita, rifiutando­si di tornare in una delle sue meraviglio­se— e vuote— dimore. Saputo di ricevere nel testamento “solo” un milione di dollari dalla sua paziente più generosa, l’ospedale la trasferisc­e in una brutta stanza, dove Huguette morirà, vicino a un ripostigli­o, senza vedere il cielo, né tantomeno l’Empire State Building. Ma solo uno sgraziato condiziona­tore.

 ??  ?? Gli ultimi ricchi della “Golden Age” A destra, la copertina di Dimore vuote, di Bill Dedman e Paul Clark Newell, Neri Pozza
2015, pp. 496, 18 euro.
Gli ultimi ricchi della “Golden Age” A destra, la copertina di Dimore vuote, di Bill Dedman e Paul Clark Newell, Neri Pozza 2015, pp. 496, 18 euro.
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Muore a 104 anni nell’ospedale dove si era autoreclus­a vent’anni prima, pur possedendo dimore e palazzi per un valore di 300 milioni di dollari
Muore a 104 anni nell’ospedale dove si era autoreclus­a vent’anni prima, pur possedendo dimore e palazzi per un valore di 300 milioni di dollari

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy