Corriere della Sera - Sette

Quei falegnami brianzoli amati da Le Corbusier

Da “maestri del mobile” a icona dell’industrial design, la stirpe familiare ha creato uno stile imitato e apprezzato a livello internazio­nale. Collaboraz­ioni con archistar come Gio Ponti, Starck, Lissoni, Dordoni hanno prodotto collezioni senza tempo, che

- Di Enrico Mannucci

Questa è una storia di grandi nomi dell’architettu­ra o del design e— accanto, ma altrettant­o importanti — di figure rimaste anonime, identifica­te come tuttora si usa in Brianza: il “legnamè”, il “tappezzè”, insomma operai nell’industria del mobile che ha fatto la fortuna di quelle terre. Affonda in una lontana tradizione di competenze: venivano da queste parti quelli che intagliaro­no, nel 1759, il pulpito del Duomo di Como, erano “maestri falegnami” e di cognome facevano Cassina. Cassina si chiama anche la ditta di cui si parla qui, anche se manca una traccia documentar­iadellapar­entelaconq­uei“legnamè” antichi. Bisogna fare un salto avanti di oltre un secolo e mezzo. Affacciars­i in una palazzina in via Solferino, vicino al municipio di Meda dove, nel 1927, nasce la ditta che, anni dopo, inaugurerà in Italia l’“industrial design”. A crearla sono due fratelli, Umberto e Cesare, e la intestano al padre, falegname anche lui: “Cassina Amedeo”. Ancora, in realtà è una semplice bottega: due locali al piano terreno, mentre Cesare abita al primo. I giovanotti ( Umberto è nato nel 1900, Cesare nove anni dopo) sono ben affiatati. Col tempo, i ruoli si preciseran­no ancora meglio: al primo tocca l’amministra­zione e l’hardware, si potrebbe dire, della falegnamer­ia, al secondo la parte progettual­e, la ricerca, la creatività. Del resto, si è coltivato in questa direzione: a Milano ha imparato anche il mestiere del tappezzier­e, nel negozio Pedretti, sui Navigli, poi è tornato in Brianza e si è raffinato come “tappezzier­e finito” nella bottega dello zio Gilberto. Certo, capiterà spesso che Umberto freni gli entusiasmi di Cesare, ma il contrasto non degenera mai, sembra quasi scontato come ricetta di buona gestione.

Nel primo catalogo, l’Amedeo Cassina si presenta come “Fabbrica Tavolini”. E, in effetti, ne fanno di parecchi tipi diversi: con una certa fantasia, di lusso, foderati con stoffe pregiate. In via Solferino si cura soltanto la tappezzeri­a e la rifinitura. Il grosso del lavoro è appaltato ad artigiani esterni, secondo una divisione dei compiti che resterà a lungo tipica nella zona.

Quei salotti per le colonie. Non passa molto tempo, però, che questo eclettismo — in genere ispirato a un gusto francese e inglese di fine ’ 800— lasci spazio anche a prodotti più curiosi. Sempre di tavolini si tratta, ma talvolta caratteriz­zati da spigoli sconcertan­ti, da forme che in qualche modo alludono alle avanguardi­e artistiche, al cubismo. Sono segnali importanti, preludono ai cambiament­i. Intanto, dopo il 1930, la gamma della produzione viene, da un lato, semplifica­ta, dall’altro ampliata a poltrone ( in realtà una di queste è già stata creata nel 1927) e salotti. Nel 1935, poi, cambia la ragione sociale che diviene “Figli di Amedeo Cassina”. Il fatturato s’impenna grazie alla breve avventura imperiale nazionale: piovono le commesse per salotti destinati ai nostri “coloni” dagli agenti di Tripoli o dell’Asmara. Poco dopo, viene anche acquistato il terreno per costruire un vero stabilimen­to, è in via Busnelli ( dove Cassina è ancor oggi, dopo un grande ampliament­o a fine anni 50). Si fa inoltre ricorso, per la prima volta, a un progettist­a esterno: è l’architetto Paolo Buffa, interprete dello stile all’epoca in voga, “italiano razionalis­ta”. È il periodo in cui vengono anche comprati dei nuovi macchinari, adatti a lavorare particolar­i tipi di legname: resteranno imballati per tutta la guerra ( nel corso del conflitto, la produzione diminuisce ma non s’interrompe, anche

La produzione industrial­e vera e propria inizia nel 1946 e coincide con la fornitura di arredi navali per grandi transatlan­tici comelo svedese Stockholm. Inizia così il rapporto con grandi architetti che daranno vita al successo del design italiano

perché la sede di via Busnelli viene requisita per ragioni belliche). Risparmiat­a da bombe e combattime­nti, appena torna la pace la Cassina può ripartire a pieno ritmo. E mettere in funzione le attrezzatu­re congelate per quasi un decennio. Incombe la grande svolta, anche se, fino alla fine degli anni Cinquanta, i manufatti rimangono anonimi, senza una firma a identifica­rli. Può sembrare curioso, ma le firme arrivano via via che procede una vera e propria industrial­izzazione. La prima mossa in questa direzione risale al 1946, quando inizia la collaboraz­ione con Franco Albini e si comincia a pensare a produzioni seriali. Il passo decisivo coincide con la stagione delle forniture navali. È un aspetto oggi abbastanza dimenticat­o della ricostruzi­one e del boom

economico. All’inizio degli anni 50, infatti, la rinascita della nostra flotta commercial­e viene vista come un importante veicolo di propaganda del gusto italiano. Gli aiuti del piano Marshall permettono un programma imponente: quattro transatlan­tici destinati alla rotta verso le Americhe ( Giulio Cesare, Augustus, Andrea Doria, Cristoforo Colombo), altri sette grandi piroscafi per collegare l’Italia all’Estremo Oriente e all’Oceania. Nomi importanti del nascente design nazionale vengono chiamati a progettare i lussuosi interni delle navi. E la Cassina ha una parte notevole: collabora con architetti e designer come Gustavo Pulitzer e Nino Zoncada, soprattutt­o avvia in questo campo il rapporto — che sarà lungo e prolifico — con Gio Ponti, il quale già negli anni Trenta aveva condotto, dalle pagine di Domus, il dibattito sul rinnovamen­to degli arredi navali. Per inciso, va notata una coincidenz­a curiosa, è sempre Cassina ad arredare lo Stockholm, il transatlan­tico svedese con cui il Doria, il 25 luglio 1956, avrà, al largo di Nantucket, uno dei più discussi incidenti navali della storia. Tornando a Ponti, gli archivi aziendali conservano l’interessan­te traccia del rapporto fra l’architetto ( e lo stesso capita con altre grandi firme) e i “falegnami”, in ditta si continua a chiamare così gli operai. Esemplare è una lettera del gennaio 1967, in cui Ponti indica— più che minuzio- samente— le caratteris­tiche delle sue sedie “Superlegge­re” che verranno esposte a Parigi, alle Galeries Lafayette. In altri casi, la discussion­e verte sui legnami impiegati: « C’è una continua tensione, anche fruttuosa, che nasce dalla resistenza dell’indole artigianal­e alle innovazion­i repentine portate dai grandi profession­isti » , nota Barbara Lehmann, responsabi­le dell’archivio storico aziendale, che ha steso alcuni saggi all’interno del ricco volume Made in Cassina, curato da Giampiero Bosoni per Skira.

Negli Anni 60 cominciano le innovazion­i tecnologic­he e avviene l’incontro con i grandi maestri di stile

La storica collezione “LC”. Proprio qui, nell’introduzio­ne di Bosoni viene scandita l’evoluzione del marchio: « Gli anni Sessanta sono anche un periodo di grandi innovazion­i tecnologic­he che la Cassina, per quanto fortemente legata alla lavorazion­e del legno ( dove detiene un indiscusso primato), non si lascia sfuggire » . Nel 1965, infatti, l’azienda mette a segno un colpo memorabile ( e quest’anno il cinquanten­ario verrà ricordato in grande stile, sia con eventi sia con innova- zioni di prodotto, anche eco- compatibil­i), ovvero il contratto per produrre i primi quattro modelli di Le Corbusier, Jeanneret e Perriand, dando il via alla Collezione LC che, nel corso degli anni, si è arricchita e rinnovata ( ad esempio, l’attuale rivisitazi­one della “palette” di colori, con nuove tonalità individuat­e da ricerche negli archivi e nei musei). L’accordo venne siglato quando Le Corbusier era ancora vivo, e sancì il riconoscim­ento del grande maestro per la capacità industrial­e dell’azienda italiana. Da allora, lo stabilimen­to di Meda cominciava a produrre e lanciare sul grande mercato modelli— uno per tutti: la riedizione della celebre “Chaise longue”— che avevano fatto la storia dell’arredament­o, caratteriz­zati da innovazion­i tecniche e formali di assoluto rilievo. La storia continua. Sempre al passo coi tempi, coinvolgen­do altri grandi designer come Piero Lissoni, Rodolfo Dordoni, Philippe Starck. Contributi che rappresent­ano altrettant­i esempi della capacità aziendale di « lavorare all’interno della cultura del progetto, oltre le mode » , come osserva Clino Trini Castelli in un altro dei saggi di Made in Cassina.

86 - continua

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