Corriere della Sera - Sette

Altro che social, concentria­moci sull’uomo

Non solo intratteni­mento. La quinta stagione di The Walking Dead ha lasciato intraveder­e stralci di Conrad e Dostoevski­j

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Nella seconda parte di questa quinta stagione di The Walking Dead, che a molti è parsa sostanzial­mente interlocut­oria, gli autori hanno deciso di riportare il gruppo di sopravviss­uti guidati da Rick Grames ( nella foto) a confronto con un’oasi pre- apocalitti­ca, Alexandria, per mettere a fuoco il tema forte dell’indebolime­nto della natura umana nella civilizzaz­ione. Il destino dell’uomo che sa ancora essere, per così dire, selvaggio, non fiaccato dalle mollezze del progresso, ha il suo cardine narrativo nel personaggi­o di Daryl, al quale, non per caso, sarebbe dedicato il puntatone speciale di 70 minuti che chiuderà la stagione di TWD, il 30 marzo prossimo. Per scomodare a sproposito il compito dello storico materialis­ta nella vulgata diWalter Benjamin, prima di tutto occorre non farsi incantare dal sogno di TWD e nemmeno limitarsi a riprodurlo nei “recap” critici tanto di moda, ma “analizzarl­o e far emergere l’utopia che si nasconde in esso”. A dire il vero TWD nasce da un fumetto di genere propriamen­te “distopico”, ovvero dell’utopia alla rovescia, ma questo soltanto per accontenta­re i precisini. Non ci stancherem­o mai di ripetere con McLuhan che, come le grandi danze macabre dipinte dai Baschenis a metà del 1500 cantavano la pestema anche l’arrivo della rivoluzion­e della stampa, ogni epoca mediatica ha la sua storia emblematic­a e TWD è il racconto perfetto del mondo post- televisivo: incanta milioni di spettatori della parte di mondo che ormai vive e respira coi social media, mostrando crudemente che in questa epidemia ipermediat­ica siamo tutti zombie per sempre, salvo che qualcuno non ci spacchi proprio il cervello; e che per sopravvive­re da “umani” bisogna in qualche modo saper tornare selvaggi, pre- moderni, duri e sporchi come Daryl, come Rick prima di tagliarsi la barba. Altro che navigare tra Istangram e Facebook, bisogna saper cacciare con l’arco, e prima d’allungare il selfie- stick, bisogna imparare a tagliare teste con la katana. Ci sono state serie televisive idolatrate dalla critica, e dalle giurie dei premi, che hanno vissuto di citazioni trasparent­i dalla letteratur­a e dalla filosofia più pessimisti­che rispetto alla modernità. Questa quinta stagione di TWD svela in controluce, oltre che ovviamente la suggestion­e di un tema tanto caro a Conrad, un lato profondame­nte dostoevski­jano. Viene da pensare, guarda caso, alla “distopia” di uno straordina­rio racconto di fine carriera del grande russo, Il sogno di un uomo ridicolo, dove appunto va in scena la contaminaz­ione e la corruzione di un mondo che poteva essere ideale ma che, con la scoperta della menzogna e la sua riproduzio­ne, si rovina perché « ognuno prende ad amare solo se stesso (…), ognuno diventa talmente geloso della propria personalit­à (…) riponendo in ciò tutta la propria vita » ( trad. it. di Luigi Vittorio Nadai per Garzanti, 1988). Alla fine non converrà nemmeno agli autori di TWD svelare come sia nata l’epidemia zombie, tanto l’abbiamo capito benissimo.

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