Il narratore dell’archeologia misteriosa
Kolosimo fece della fantascienza la sua visione del mondo. A metà tra l’utopia comunista e gli enigmi delle civiltà perdute
Una « laurea in filologia, tre lingue madri ( inglese, tedesco, italiano) e autore di 13 libri tradotti in 16 lingue e diffusi in 60 paesi » , come ricorda Giangaspare Basile nell’introduzione a Continenti perduti. Il modenese Pier Domenico Colosimo, in arte Peter Kolosimo, inventò quasi dal nulla un genere letterario, che fu detto “archeologia misteriosa”, o anche “fantarcheologia”, ma che era a tutti gli effetti un’utopia politica, sia pure in chiave fantasy. Affascinato dai misteri del mondo, Kolosimo osservava le ombre a lato degli eventi storici con lo sguardo innocente di chi è convinto che le storie belle meritino d’essere vere. Giornalista all’Unità nel dopoguerra, nonché direttore di Radio Capodistria, un incarico dal quale le autorità titine lo rimossero per le sue spiccate simpatie filosovietiche, Kolosimo era un comunista tra i più ortodossi, però nel senso del “comunismo primitivo”, come Karl Marx ( o fu Engels?) battezzò una delle sue tipiche chimere fantastoriche ( era la sua idea di “età dell’oro”: comunità tribali preistoriche, come in certi sketch dei Monty Python, dedite allo « sfruttamento collettivo del territorio » ) . Come risulta chiaro dalla lettura di Continenti perduti, un’antologia di pagine trompe l’oeil tratte dai suoi libri più strabilianti e noti, Kolosimo era di gran lunga più interessato alle meraviglie e ai misteri del passato che alle promesse di qualsivoglia società futura, per quanto egualitaria e senza classi ( tipo le promesse che in quegli anni pronunciava a gran voce, e picchiando la scarpa sul tavolo, il leader sovietico Nikita Krušcev, convinto che il paradiso e la fine della storia fossero ormai dietro l’angolo). Molto più concreto di Krušcev, Kolosimo indo- vinava ovunque tracce di remoti visitatori alieni; raccontava la vera storia dei viaggi d’Ulisse; scopriva astronauti maya negli affreschi delle piramidi sudamericane; spiegava che i disegni tracciati sulla piana di Nazca erano piste d’atterraggio d’antichi Ufo peruviani; diceva tutto e di più sulla struttura megalitica di Stonehenge; esplorava con largo anticipo su Indiana Jones e Martin Mystère i resti enigmatici di civiltà perdute ( quasi tutte collocate, strano caso, in località socialiste esotiche, dal Vietnam del nord alla Siberia, dalla Cina maoista alla Corea del Presidente Eterno Kim Il- sung) e decifrava i segnali che i viaggiatori nel tempo avevano seminato come briciole di pane nel bosco fitto delle ere storiche. Non è chiaro se l’autore di Non è terrestre ( 1968) e Astronavi sulla preistoria ( 1972) credesse davvero nelle meraviglie belle ma inverosimili di cui illustrava il catalogo nei suoi libri ( quest’antologia ne è a sua volta il catalogo). Forse ci credeva, forse ci credeva soltanto un po’. Proprio questo è il mistero di chi corre dietro ai misteri. Storie vere e storie false. Una cosa, tuttavia, è sicura: a differenza dei suoi epigoni, dall’ufologo svizzero Erich von Däniken al piramidologo inglese Graham Hancock, Kolosimo non era un cialtrone né un invasato. Era un grande narratore con l’istinto dell’utopista votato ai misteri tenuti nascosti fin dalla fondazione del mondo e le sue storie erano così belle e strane da lasciare a bocca aperta. Aveva fatto della fantascienza unaWeltanschauung, una visione del mondo. Non ha senso chiedersi se le sue storie fossero vere o false. Erano vere come sono vere le avventure dei Tre Moschettieri; e com’è vera la fuga di Luke Skywalker dal Pianeta Nero.