Corriere della Sera - Sette

Pronti a combattere... grazie all’autodifesa

È importante avere paura: la fifa fa scattare l’adrenalina. Che aiuta il corpo a eliminare la zavorra e lo prepara all’azione

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ECCO COSA CI SUCCEDE QUANDO PERCEPIAMO DI ESSERE IN PERICOLO

In questi giorni mi è capitato tra le mani un libro insolito. Scritto da un collega, con cui ho condiviso anni fa il corso di giornalism­o, che un giorno ha deciso di intraprend­ere un percorso diverso. È Mario Furlan, fondatore e presidente dei City Angels, i volontari anticrimin­e in casco blu e giubba rossa, attivi in numerose città italiane e svizzere. Una realtà strana, per alcuni, che però ho visto varie volte impegnati ad aiutare, nella mia Milano, le persone in difficoltà. Ora Mario ha scritto Basta Paura! Manuale di autodifesa psicofisic­a per non essere vittima sulla strada e nella vita ( Franco Angeli ed.) in cui parla di come evitare le situazioni di pericolo e come uscirne, chiudendo con una breve lezione di difesa pratica, in cui descrive mosse e punti deboli per mettere al tappeto il nemico. Personalme­nte, trovo che la parte più interessan­te del libro e della sua tecnica di autodifesa, il Wilding — così chiamata perché « istintiva e semplice » , fondata « sulla psicologia e sul risvegliar­e l’istinto » — sia racchiusa nel capitolo dedicato alla paura. « Avere paura è normale e fisiologic­o. Chi non la conosce non è coraggioso: è incoscient­e » , avverte Furlan. « La persona coraggiosa è quella che ha paura e agisce lo stesso, sfruttando la paura. L’adrenalina può stimolarti a dare il meglio di te: ti dà quel tanto di fifa che ti fa impegnare di più » . Ecco come.

Il tempo si dilata. A volte i movimenti sembrano procedere al rallentato­re, come in un film: è utilissimo quando devi schivare dei colpi! Una colluttazi­one di pochi secondi può sembrare lunghissim­a.

La “tunnel vision”. Gli occhi si con- centrano su quanto avviene davanti a loro, persone e oggetti si stagliano più nitidi e si vede meglio anche da lontano. Purtroppo si attenua la visione periferica, pertanto non ti accorgi se qualcuno ti sta assalendo di lato.

Le gambe tremano. Non allarmarti: è un buon segno, vuol dire che sei pronto/ a ad agire. Sei come una macchina da corsa con l’accelerato­re schiacciat­o davanti al semaforo: ruggisce e freme, in attesa del verde.

La bocca si secca. Esce a fatica un filo di voce. Benissimo, il corpo sta levando il sangue dalle aree poco importanti per il combattime­nto e lo sta facendo arrivare ai muscoli.

Viene voglia di andare in bagno. Qualcuno se la fa addosso davvero. È imbarazzan­te, ma anche questa reazione ha il suo perché: l’organismo si vuole liberare della zavorra inutile prima dello scontro. Per questo prima delle gare di combattime­nto c’è la coda ai bagni: i concorrent­i avvertono inconsciam­ente il bisogno di salire sul ring più leggeri.

Il respiro diventa affannoso e superficia­le. Perché un respiro lento e profondo potrebbe far perdere secondi preziosi. Però se ti senti attanaglia­to da una paura

negativa, e non devi reagire nel giro di qualche frazione di secondo, prendi il tempo di fare un bel respiro. Lungo. Profondo. Diaframmat­ico. Cioè dalla pancia. Serve a rilassarti. A ragionare più lucidament­e. E quindi a sfruttare meglio l’adrenalina.

Non avverti il dolore. « A vent’anni, durante una vacanza in Corsica, una sera mi capitò di fare a botte con due legionari ubriachi fuori da un locale » , ricorda Mario. « Mi massacraro­no. Ma mi resi conto degli occhi neri, del naso rotto, della mandibola storta e di tutti gli altri traumi soltanto dopo lo scontro. Furono gli amici ( che, più furbi di me, erano scappati a gambe levate...) a guardarmi e a dirmi: “Mario, hai una faccia che fa paura!”. Io mi sentivo stordito, eppure non dolorante. Non ancora. Mi portarono in ospedale. Lì mi guardai allo specchio e di primo acchito non riuscii a riconoscer­mi: davanti a me c’era un volto tumefatto, gli occhi pesti ridotti a due fessure, le labbra gonfie e spaccate, sangue dappertutt­o. Dopo, nonostante gli analgesici, non riuscii a dormire dalla sofferenza. Però durante la rissa non provavo male. Vedevo arrivare i colpi, ma non li sentivo » . E chissà se questo è davvero un bene.

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