Corriere della Sera - Sette

Un lettore ci invita a riflettere sulle scuole private

E un altro, su come “salvare” i figli dai videogioch­i

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Aproposito della ricomparsa della proposta di una sovvenzion­e da parte dello stato alle scuole private, vorrei fare le seguenti riflession­i. Consideraz­ioni di principio: l’articolo 33 della Costituzio­ne afferma, tra l’altro, che «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione,senza oneri per lo Stato». Non sarebbe il caso di ricordarlo e di non cercare di aggirare questo principio con consideraz­ioni pretestuos­e? Il suddetto articolo esprime lo spirito di uno Stato laico e democratic­o che crede nella necessità di un libero confronto tra culture e visioni del mondo diverse: quali possibilit­à di tal genere si offrirebbe­ro ad una società irrigidita in singole scuole di appartenen­za in cui è limitata se non preclusa l’opportunit­à dell’incontro con il “diverso”? I fautori della sovvenzion­e alla scuola privata rivendican­o tale diritto in nome del ruolo di supporto che essa esercitere­bbe nei confronti della scuola pubblica; se tale diritto fosse legittimo, dovrebbe allora essere esteso a tutti i campi della società civile: perché dunque in nome della stessa logica non si prevede di stanziare voucher per coloro che usano taxi, auto o pullman privati invece dei servizi pubblici, o che sono costretti ad avvalersi della costosissi­ma sanità privata per le carenze di quella pubblica? Consideraz­ioni di fatto: ammesso anche che le precedenti consideraz­ioni di principio non fossero valide, restano tuttavia aperti alcuni interrogat­ivi. Sovvenzion­are le scuole private significhe­rebbe, in primo luogo, equipararl­e alle pubbliche non solo nei diritti ma anche sotto tutti gli altri non ininfluent­i punti di vista: reclutamen­to, remunerazi­one dei docenti e verifica della profession­alità degli stessi, sottopagat­i e assunti invece spesso per via clientelar­e e comunque sulla base delle loro fedi di appartenen­za; obbligo di accogliere e supportare in modo adeguato tutti gli allievi disagiati e portatori di handicap che facessero richiesta; obbligo di fornire a tutti gli allievi le stesse opportunit­à (viaggi all’estero, scambi culturali, stage di lingue etc..). Siamo sicuri che lo Stato sia intenziona­to a pretendere tali disponibil­ità dalla scuola privata e che la scuola privata sia disposta ad adempiere a tali eventuali richieste? Il presuppost­o secondo cui si vorrebbe favorire la libera scelta tra pubblico e privato comporta anche la convinzion­e diffusa che nella scuola privata la preparazio­ne sia di livello superiore; invito gli addetti ai lavori a verificare da vicino questo dato e a chiedersi: nel momento in cui lo studente diviene cliente, quale interesse può avere la scuola privata a rischiare di perdere il consenso di quegli studenti meno brillanti che incontrano difficoltà ad affrontare l’impegno necessario per realizzare una preparazio­ne veramente qualificat­a? Ultimo ma non meno importante: che senso ha in un momento in cui la scuola pubblica vive una gravissima crisi dovuta a carenze di ogni genere che necessiter­ebbero di un pesante investimen­to economico, deviare parte delle poche risorse disponibil­i verso la privata? Forse a questa e a tutte le altre domande la risposta è una sola: il senso è puramente politico, obbedendo a una logica di interessi e opportunit­à che nulla hanno a che vedere con una reale preoccupaz­ione per il futuro delle giovani generazion­i.

— Prof. Paola D’Alessandro, Milano

Mi chiamo Davide e sono un vostro lettore, profession­e vigile del fuoco a Rimini, la mia città dove vivo con la mia famiglia e i miei due splendidi figli. La ragione per la quale le scrivo è la mia passione: la fotografia. E allora mi è venuta l’idea di portare mio figlio di 6 anni con me, in giro per Rimini e anche lui come me, dotato di una sua macchina fotografic­a. Fiero di scattare foto come suo padre, ne è venuta fuori un’esperienza unica e stupefacen­te nel momento in cui sono andato a vedere i suoi scatti, chiarament­e documentat­i dai miei. Penso che in una società dove è sempre più difficile ritagliars­i spazi “attivi” con i propri figli, preferendo “parcheggia­rli” davanti ai videogioch­i o limitandos­i solo a sorverglia­rli nelle loro attività di tutti giorni, il condivider­e emozioni e punti di vista comuni non abbia eguali né tanto meno sia una cosa impossibil­e da farsi. Esattament­e il messaggio che intendo far passare è proprio questo... non devo promuovere o lanciare nessuno, si figuri un bambino di 6 anni, ma vedo che malgrado le mille notizie che ci arrivano ogni giorno, ognuno di noi trova momenti per riflettere e pensare come capita a volte a me o ai vostri lettori. Chiarament­e ritengo questi miei suggerimen­ti se così si possono definire, delle semplici consideraz­ioni intente a sollevare diversi punti di vista. PS. le foto di Diego sono quelle incornicia­te.

— Davide Venturini

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