La rete? Un gigantesco editore caricato a salve
Il dramma della rivoluzione digitale è l’impossibilità di creare un sistema culturale in cui
si scrive sta nel concetto di piacere, nel like, nel retweet, nel commento entusiasta. Senza che questo comporti altre conseguenze. Senza che cambi nulla nella quotidianità delle persone che mettono il loro mondo e le loro idee nel web. Il web è un gigantesco editore caricato a salve. Miliardi di gigabyte in forma di video e parole che non hanno un centro, che non portano a niente, che non indicano percorsi. Il dramma della rivoluzione digitale è soprattutto l’impossibilità di creare un sistema culturale in cui si è scelti, in cui pubblicare è “rendere pubblico”. Dove il verbo “rendere” significa attuare un processo culturale e decisionale, non un automatismo privo di scelta. E dove il rendere pubblico include tempo, dedizione e rischio di impresa. La nascita dell’editoria fu questo. Gli stampatori, e poi gli editori lavoravano affinché il libro diventasse merce. E in quanto merce avesse un suo valore. Il valore era nella scelta. Se pubblico un testo anziché un altro è perché ritengo che qualcuno possa pagare per leggerlo. Se pubblico tutto, non pago, e non distinguo, allora non sono nulla.
CODICI MINIATI. Il problema di Sullivan non sta nel ritrovare il suo tempo e le sue buone idee. Si possono ritrovare idee, lentezza, e qualità anche sul web. Non dipende dal mezzo tecnologico. È vero che i codici miniati erano più belli e preziosi dei libri. E il libro a stampa era un prodotto pensato e ideato perché si diffondesse con più facilità, ma la qualità culturale era la stessa. Impiegare il proprio tempo in un universo dove nessuno decide e nessuno sceglie è veramente restare in universo indistinto, troppo povero per essere sopportabile.