La tirannia del Rinascimento
Un confronto serrato tra le 105 opere del grande scultore inglese e un gioiello dell’architettura militare del 1590. L’artista riflette così sull’Umanesimo: «Ha fallito, non ci ha resi una civiltà migliore»
Questo Forte Belvedere così massiccio, muscoloso, costruito in contrasto con quel paesaggio collinare nella Firenze di fine Cinquecento, genera nello scultore Antony Gormley ( che dal 26 aprile lì vi porterà 105 opere, di cui 22 cast blockworks creati con la mente rivolta a quel luogo) una riflessione sull’uomo. Che coincide, perfettamente, con il suo modo di concepire la scultura. « Henry Moore, nella celebre mostra del 1972 usò questo sito straordinario come una piattaforma per mostrare i suoi lavori » , dice l’artista. « A me interessa soprattutto capire perché nel tardo Rinascimento sia stato necessario fare questa fortezza. Non solo espressione di potere, ma anche dell’abilità di architetti e ingegneri nel cambiare il paesaggio, prendendo una collina naturale fino a fortificarla a tal punto. E poi penso, per contrappasso, alle sublimi immagini dei dipinti di Masaccio, Botticelli, Lorenzetti, Leonardo, alle opere di Michelangelo, in contrasto con le tensioni sociali del loro tempo. All’animosità tra Guelfi e Ghibellini, tra Firenze e Siena, a una belligeranza quasi permanente. Allora i campi di battaglia erano fuori dalle città, non tra le case della gente, come oggi » . La mostra Human ( a cura di Sergio Risaliti e Arabella Natalini) porterà su questa collina “scolpita” dall’uomo un concentrato di figure, che l’artista inglese usa per catalizzare l’occhio dell’osservatore costruendo una relazione con l’architettura. Evitando qualsiasi riferimento al rapporto aureo. « Qui a Firenze, nella culla del Rinascimento, voglio contestare questo ideale delle proporzioni. Che implicava l’ideale utopico dell’uomo al centro di tutte le cose e che, attraverso la promessa della razionalità, in qualche modo ci avrebbe fatto raggiungere un livello più elevato di esistenza, che si è dimostrato infondato. Come ha detto Wil- son, abbiamo emozioni da paleolitico, istituzioni medievali, e una tecnologia divina. E il mix di tutti e tre è molto tossico » .
Calco. Gormley usa il suo stesso corpo come modello per le sculture che realizza, anche se talvolta è ricorso ad altre persone, come nell’operaMain Field. « Usome stesso per ritrovarmi “dentro” la percezione delle pose che scelgo per le mie figure. La differenza tra me e uno scultore figurativo, di tipo accademico, è che io non tratto il corpo come un objet trouvé, ma voglio usarlo direttamente, non interpretarlo, non fare un passaggio dal corpo vivente a quello “sagomato”. Ogni mia scultura è il risultato di un momento vissuto, non di un’idea arbitraria » , dice l’artista che propone una modellazione della figura secondo forme solide ( dai tratti umani oppure cubisti o composte da sfere- atomi), e da altre completamente aperte ( quasi fossero solo campi magnetici). Come a indicare la fede in un nuovo umanesimo, però basato sulla scienza. « Anche se le mie figure hanno tratti umani esse non sono l’espressione di un nuovo umanesimo, di cui rifiuto categoricamente l’idea. Noi non siamo i maestri dell’universo, ma da esso dipendiamo totalmente. Il sentirci arbitri di tutto ha creato una mentalità che sta minando il sistema della Natura. La cosmologia e la fisica quantistica hanno rivelato scoperte fondamentali, benché i filosofi atomisti greci avessero già intuito molto. Tutte le nostre percezioni sono abbastanza rozze se paragonate alla verità della Natura » . La sua materia prediletta è il ferro. Il bronzo le sembra troppo tradizionale? « Ho rimosso la scultura dal contesto delle cosiddette “belle arti”. Il bronzo è facile da lavorare, da patinare. A meinteressa di più come si comporta il fer-
« Abbiamoemozioni da paleolitico, istituzioni medievali e una tecnologia divina. Il mix di tutti e tre è molto tossico »