Lorenzo Cremonesi
E Mosca prende l’Ucraina. Che adesso vuole tornare ai vecchi confini
Ma voi ucraini filorussi alla fine cosa volete? Quali sarebbero i territori che lascereste al governo di Kiev? » . Sembrava quasi che Andrey Purgin si aspettasse questa domanda. O comunque bruciasse dalla voglia di affrontare il tema. Con gesto repentino si fa portare l’ultima edizione del quotidiano locale e punta l’indice alla cartina pubblicata sulla quarta di copertina. « Questa è la mappa della nostra regione nel 1917. I nazionalisti di Kiev ne controllano solo una sezione limitata. Il resto sono le neonate repubbliche socialiste legate allora al governo di Mosca, che hanno la sovranità sull’est, parte del centro e le province meridionali compresi Crimea, zona costiera lungo il Mare di Azov e litorale sul Mar Nero sino a Odessa. Non capisco perché non si possa tornare a quella situazione. È ciò che il popolo esige oggi e voleva al tempo della Prima guerra mondiale » , spiega. Così, all’improvviso, questo che è il 46enne numero due della autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk riporta il conflitto in Ucraina a uno dei momenti fondativi della sua storia: lo sfascio dell’impero zarista, le tensioni create dalla Rivoluzione russa a partire dal febbraio 1917; lo scontro tra armate bianche e bolscevichi; il conflitto aperto tra comunisti internazionalisti guidati da Leon Trotsky e nazionalismi particolaristici ispirati da un’affermazione identitaria fondata su amalgami antichi di lingua, etnia, tradizioni, legami ancestrali col territorio. Torna alla mente l’impres- sione provata pochi mesi fa di fronte alla cittadina curda di Kobane assediata dallo Stato islamico sul confine tra Siria e Turchia, quando un combattente non ancora ventenne del Pkk ( il maggior movimento della sinistra curda in Turchia) mi disse, come se fosse la cosa più evidente della terra: « Se le potenze coloniali europee un secolo fa non si fossero spartite il Medio Oriente in modo tanto arbitrario, Kobane oggi non sarebbe separata da una frontiera artificiale e noi curdi avremmo la nostra patria » .
Battaglie in stazione. Non importa quanto sia vera o meno questa affermazione. Quello che conta è che se ne parli ancora. È rilevante che le scelte compiute un secolo fa siano percepite a tutt’oggi in modo tanto vivo e attuale. Lo stesso vale in Ucraina. Con però un’importante specifica. Percorrendo le pianure di dolci colline basse dei campi di battaglia tra esercito fedele a Kiev e milizie filorusse ( assieme a unità scelte inviate e armate dai comandi a Mosca) è impressionante scoprire quanto siano immanenti i resti e il retaggio della Seconda guerra mondiale. Ogni paesino ha in centro il monumento alla memoria dei morti dell’Armata Rossa. Si sprecano le targhe, i carri armati di allora trasformati in monumenti su massicci piedistalli e le stele con i nomi di eroi distinti in azione. La stessa cittadina di Debaltsevo, catturata dai pro russi a fine febbraio 2015 dopo lunghi combattimenti, espone al suo centro in piazza Lenin una lunga serie di monumenti marmorei con le liste dorate dei caduti nella grande « Guerra patriottica » . Sui muri nella sala di aspetto della sua stazione ferroviaria, uno dei punti cruciali dei combattimenti per il controllo delle linee che collegano tra loro le due maggiori province in mano ai ribelli ( Donetsk e Lugansk) e soprattutto l’Ucraina orientale con la Russia, sono tutt’oggi esposti grandi dipinti che illustrano le battaglie tra eserciti russo e tedesco in quella stessa zona 72 anni fa. È come se l’Urss non solo non fosse mai scomparsa,