Ok l’inglese, ma...
Spesso la lingua che i ragazzi non conoscono è l’italiano
Continuo a parlare con Maria Teresa Punzo, prof di Filosofia e Scienze Umane nel liceo statale Virgilio di Milano. Si diceva, nello scorso numero, delle grosse difficoltà legate all’attuazione dell’avvio in ordinamento di discipline non linguistiche in lingua straniera nelle scuole superiori. « Il problema » , spiega Maria Teresa, « sta a monte. Devi partire bene dalla base, cioè dalla scuola elementare. Ed è vero che ora nella scuola primaria l’inglese è disciplina curriculare, ma è anche vero che troppo spesso non c’è continuità dei docenti né una valida programmazione » . Tuttavia, aggiunge, questo problema è persino secondario rispetto a un altro ben più grave. « I ragazzi non sanno l’italiano. È una questione di metodo e di programmazione: e tra l’altro c’è molta differenza fra scuola e scuola » . Ma, la provoco, non è anche colpa dei prof, sovente poco motivati? « Già, ma ti sei chiesto il perché? Nella scuola di oggi non sono previsti incentivi, e gli scatti di anzianità non esistono più. C’è un clima generale penalizzante. L’ultima riforma... » .
Svantaggio culturale. La interrompo: in attesa dell’epifania della “buona scuola”, che avverrà, dunque, non più per decreto legge ma in altra maniera, e chissà quando. Sorride e tira dritto: « L’ultima riforma ha penalizzato i docenti. Sono state abolite le sperimentazioni. È vero, erano troppe, ma bastava limitarne il numero perché, d’altra parte, erano la linfa vitale della scuola. E però non è solo quello. Una volta c’erano le copresenze: vedi il caso, per l’istituto magistrale, dell’insegnamento di Pedagogia e del tirocinio, dove più ore alla settimana erano gestite da due prof insieme. Abolite. Tieni conto, anche, che nel magistrale un tempo c’erano gli stage nelle scuole elementari. Utilissimi: gli studenti imparavano a lavorare sul campo. Aboliti. E, ancora, il ridimensionamento del monte ore delle discipline, anche quelle di indirizzo. Hanno tagliato tutto, anche il fondo di istituto. Il risparmio tignoso ha l’obiettivo di distruggere la scuola pubblica. Oramai le classi delle superiori sono di 30 alunni. Anche il numero di studenti delle classi comprendenti alunni diversamente abili è stato modificato: una volta non si poteva superare il numero complessivo di 20 studenti; adesso hanno portato il limite a 25 » . E ai miei tempi, aggiungo io, il Comune copriva con suo personale specializzato la differenza fra le 18 ore dell’insegnante di sostegno e l’orario settimanale del diversamente abile. Ora tutto questo appare un sogno. « E aggiungi » , incalza Maria Teresa, « che nelle classi ci sono spesso anche i DSA, cioè i disgrafici, i dislessici, i discalculici. E considera anche i BES, che sta per “Bisogni Educativi Specifici”, cioè i ragazzi che richiedono particolare attenzione per motivi molteplici: svantaggio culturale e sociale, carenze affettive, disturbi di apprendimento, appartenenza a lingue e culture diverse. È possibile, dunque, che un insegnante non debba essere considerato uno specialista e come tale pagato? » .