Corriere della Sera - Sette

Il futuro dipende anche dal saper perdere

Una riflession­e di Pasolini apre sul web una ricerca di storie di antieroi che, in questi tempi di “gloria”, insegnano molto sul valore del “sacro poco”

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Il bello della Rete è che le inquietudi­ni e i cambiament­i sono fili sottili che bisogna saper cogliere. E il bello della Rete è che è una biblioteca a cielo aperto che aggiorna i suoi schedari di continuo. Qualche settimana fa circolava per i social una riflession­e di Pier Paolo Pasolini, da un’intervista del 1961 al settimanal­e Vie nuove. Parole condivise da migliaia di persone. Dice questo: « Penso che sia necessario educare le nuove generazion­i al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricomincia­re senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitator­e sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricat­ori falsi e opportunis­ti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoc­i il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropolog­ia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciatag­gine di difendere tale colpa, di considerar­la quasi una virtù » . Un discorso bellissimo perché non è il solito ragionamen­to sui perdenti che diventano vincenti, e vincendo lavano l’onta della sconfitta. Un esempio su tutti, che fino a qualche anno fa andava molto, è quello di Steve Jobs, che fonda la Apple, ne viene cacciato. La sua azienda va in crisi, lui torna alla guida e c’è l’esplosione e il vero successo. Quei perdenti sono dei vincenti equivocati dagli altri, non hanno niente a che fare con il valore della sconfitta, con la sua dignità. Tutta la retorica eroica degli ultimi trent’anni è costruita così. I vincitori sono sempre i migliori, mentre gli sconfitti sono importanti quando sanno riscattars­i e vincere. Invece in Rete circolano sempre di più storie di perdenti che non si sono riscattati. C’è la storia di Peter Norman, il velocista che all’ Olimpiade di Città del Messico del 1968 sta sul podio con gli americani neri Tommie Smith e John Carlos che mostrano il pugno chiuso in segno di protesta nell’anno degli assassinii di Martin Luther King e Bob Kennedy. Peter era bianco e australian­o e sembrava una sorta di intruso dentro quella foto. In realtà la sua è una storia meraviglio­sa: quella di un grande campione sconfitto dalla vita, ma felice della sua vita. Anche lui aderì a quella protesta, e pagò cara quella scelta. Venne escluso dalle Olimpiadi successive, e non venne neppure invitato all’inaugurazi­one dell’ Olimpiade di Sidney, nonostante sia ancora oggi il più grande velocista australian­o di tutti i tempi. Morì prematuram­ente, e Smith e Carlos portarono a spalla la sua bara.

L’UOMO CHE HA SALVATO IL MONDO. Un’altra storia che viaggia per il web è quella del colonnello sovietico Stanislav Petrov. Che oggi vive dimenticat­o in un povero bilocale a Mosca, e che evitò nel 1983 lo scatenarsi di una guerra atomica, intuendo un errore nel sistema di difesa sovietico che aveva cominciato a segnalare l’invio da parte americana di missili nucleari diretti contro il suo Paese. Decise in venti minuti di non fare nulla e di non avvertire i superiori che avrebbero dato ordine di rispondere immediatam­ente all’attacco, e forse sono stati i minuti più importanti per l’umanità. Per il web si condividon­o mille storie di antieroi, di gente che non ha mai vinto. In un’epoca come questa, che non è l’età dell’ansia ma quella della perdita, queste storie, come scriveva Pasolini capendo come al solito tutto in anticipo, rivelano che c’è sempre più bisogno dei valori e della dignità della sconfitta, e di quello che lui chiamava: « il sacro poco » .

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Il valore della rinuncia Il rispetto dei principi etici può ben valere una sconfitta. Soprattutt­o se l’alternativ­a è vincere utilizzand­o sistemi sleali.

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