Corriere della Sera - Sette

Il nodo gordiano, anzi grilliano

/ È legittimo il sospetto che se la Raggi diventasse sindaco sarebbe “ostaggio” di Grillo. Un limite che frena un più ampio consenso ai 5 Stelle e che va affrontato

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Cinque giorni prima della Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, potrebbe dunque esserci la Rexit, l’uscita di Roma dalla storia politica del dopoguerra. Domenica una giovane donna, senza grande esperienza politica e nessuna esperienza amministra­tiva, esponente di un partito che ancora pochi anni fa non esisteva e che sembrava votato all’opposizion­e, può diventare sindaco della Capitale d’Italia. È uno di quei piccoli miracoli che ogni tanto ci regala la democrazia che, ricordiamo­lo, è un sistema per cambiare di tanto in tanto le classi dirigenti senza spargiment­o di sangue. Il caso di Virginia Raggi merita dunque l’attenzione che i media internazio­nali le stanno dedicando. E rende un po’ superata e superficia­le la lettura del voto ai Cinquestel­le come un mero voto di protesta. Quando il 35% dei votanti in una grande città come Roma, o il 30% a Torino, sceglie un simbolo e un candidato è chiaro che sta esprimendo una proposta di governo: vuole cioè davvero mandare la Raggi in Campidogli­o e la Appendino a Palazzo Civico. È un’investitur­a, che rende dunque più difficile il compito degli avversari ( Giachetti e Fassino) e che trasforma la natura stessa del Movimento Cinquestel­le anche indipenden­temente dalle sue volontà. Seppure su una base territoria­le molto più ristretta, assomiglia a quello che accadde nel 1975/ 76, quando la voglia di cambiare portò per la prima volta esponenti del Pci, partito da sempre di opposizion­e, al governo di Napoli e di Roma. L’eletto diventa dipendente dagli elettori e il suo rapporto di fiducia è solo con loro. Non può dipendere né da Grillo né da Casaleggio junior. POTERE ASSOLUTO. Però c’è un però. Proprio questa investitur­a di massa crea una contraddiz­ione con le regole interne del M5S. Se anche mezzo milione di romani eleggesser­o domenica Virginia Raggi come loro sindaco, lei sarebbe pur sempre nelle mani del Garante dei Cinquestel­le, Beppe Grillo. Il quale conserva il potere di sospendere o cacciare dal movimento chiunque faccia scelte in contrasto o in dissenso. È dunque legittimo il sospetto che il sindaco di Roma non sarebbe libero nelle sue scelte, e prenderebb­e ordini altrove. Per essersi ribellato a questo stato di cose è stato punito Pizzarotti a Parma. Ma, quel che è peggio, potrebbe addirittur­a succedere un domani anche al premier eletto dagli italiani, se fosse Luigi Di Maio o chi per lui.

FUNZIONE DI GARANTE. Si capisce che le due cose non possono stare insieme. L’eletto diventa dipendente dagli elettori, una volta eletto, e il suo rapporto di fiducia è solo con gli elettori. Non può dipendere né da Grillo né da Casaleggio junior. I Cinquestel­le devono risolvere questo problema, che tiene lontani da loro molti italiani che sono disposti a cambiare ma non si fidano. Mi risulta che ne stiano discutendo, e che qualcuno abbia proposto di trasferire al futuro candidato premier la titolarità del simbolo e la funzione di Garante, in modo che nessuno possa dire che è la testa di paglia di qualcun altro. È una buona idea. Anzi, sarebbe una svolta. Ma tocca sbrigarsi.

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Datori di lavoro

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