Diventa un caso la spending review bocciata
/ La Corte Costituzionale dichiara illegittimi i tagli da 7,2 miliardi di Monti nei fondi ai Comuni: scatena così un problema che ora la politica deve gestire
l diritto risana i torti e ripristina le ragioni, ma sempre più spesso la “prepotenza” della realtà si fa beffa delle sentenze e si ribella al riequilibrio che quei verdetti ordinerebbero, a parole consacrandone l’importanza sul piano dei principi ristabiliti, ma di fatto relegandoli nell’impotenza del più spiccio “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”. Per certi versi era già successo con la sentenza della Consulta che aveva bocciato il Porcellum, senza che ciò potesse riportare indietro le lancette di un Parlamento eletto sulla base di una legge incostituzionale. Poi si era in parte ripetuto quando ancora la Consulta aveva bocciato la riforma Fornero nella parte che congelava l’adeguamento degli assegni pensionistici al costo della vita, sentenza alla quale il governo aveva risposto con un decreto che ha scelto la strada di rimborsi soltanto parziali di quanto era stato tolto ai pensionati. E adesso sembra poter accadere di nuovo, nonostante la sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha appena dichiarato illegittima la revisione della spesa pubblica attuata nel 2013 dall’allora governo Monti per tagliare di 2 miliardi e mezzo di euro i trasferimenti ai Comuni. La sentenza redatta dalla giudice costituzionale Marta Cartabia è passata relativamente sotto silenzio, e invece è assai istruttiva sul passato e parecchio delicata sul presente/ futuro. Nella grave situazione dei conti pubblici di quell’epoca, la scelta politica dell’esecutivo fu quella di prevedere una riduzione dei trasferimenti dell’Erario agli enti locali per complessivi 7,2 miliardi di euro fra il 2013 e il 2015. Dovendo scegliere come distribuire i sacrifici, e non volendo ricorrere ai tagli
IIl governo Monti varò una serie di tagli alla spesa pubblica che colpirono anche gli enti territoriali. Ma la Corte Costituzionale, presieduta da Paolo Grossi (foto) li invalida. lineari di tremontiana memoria, fu scelta la strada di un decreto del ministero dell’Interno che calcolasse i tagli da addebitare ai vari Comuni in proporzione alla media delle spese che nel precedente triennio gli enti locali avevano sostenuto per i cosiddetti “consumi intermedi”, media ricavata dai parametri del sistema informatico Siope che permette al ministero dell’Economia di monitorare giorno per giorno ciò che le Pubbliche Amministrazioni pagano o incassano.
DIRITTO E REALTÀ. Tutto bene? No, risponde ora la Corte Costituzionale presieduta da Paolo Grossi nello sciogliere una questione sollevata dal Comune di Lecce. E per due ragioni. La prima di sostanza: le voci prese in considerazione, ai fini del calcolo delle quote di riduzione dei trasferimenti da addebitare ai vari Comuni, avevano finito per comprendere non soltanto il “grasso” delle spese di funzionamento sulle quali l’apparato amministrativo statale avrebbe in effetti potuto assorbire o ridurre eventuali sprechi ( come nel campo delle bollette, delle forniture di materiali, dei software), ma anche la “carne viva” delle spese affrontate dagli enti locali per assicurare ai cittadini servizi pubblici fondamentali come la gestione dei rifiuti o il trasporto locale. Una scelta dagli “effetti irragionevoli”, tanto più – e qui sta la seconda ragione, stavolta di metodo – perché imposta dallo Stato senza alcun coinvolgimento dei Comuni destinatari dei tagli. Dunque gli enti locali avevano ragione quando si lamentavano del modo con il quale Roma aveva svuotato i loro portafogli d’inizio anno. Ma in pratica adesso potrà cambiare qualcosa? Difficile immaginarlo. La sentenza della Consulta si riferisce al 2013, annualità che vale 2,5 dei 7,2 miliardi di tagli di quella revisione della spesa, ma la sabbia del tempo non può tornare certo nella clessidra, ed appare insolubile il rebus di come ridare ai vari Comuni le dotazioni di trasferimenti ai quali avrebbero avuto diritto se la ripartizione dei tagli non fosse stata illecita. Per di più, lo stesso meccanismo era stato adottato appunto anche per il 2014 e per il 2015, quei tagli esistono in quanto sono stati in sostanza “consolidati”, eppure adesso vengono dichiarati illegittimi: difficile che se ne possa uscire solo a colpi di ricorsi e interpretazioni, più lineare forse una qualche auspicabile riconsiderazione di natura prettamente politica.