Enrico Mannucci
Tre piloti che si alternano, quattro categorie di auto. L’epopea della competizione che ha visto in pista Tazio Nuvolari, Juan Manuel Fangio, Jacky Ickx e anche Paul Newman
artiva come una corsa a piedi. Molto, molto particolare. Una banda di scalmanati, infagottati nelle tute e impacciati dai caschi, assai poco composti nello scatto e alcuni – spesso parecchi – del tutto disabituati a usare le gambe per muoversi, che si lanciavano a perdifiato superando una striscia di asfalto dove – almeno fino a quel momento – non passava ombra di mezzi amotore. Correvano alla disperata per raggiungere una lunga batteria di automobili posteggiate a lisca di pesce, e lì si arrabattavano per entrare nell’abitacolo più veloci possibile. Poi, dopo un attimo, veloci diventavano sul serio. Perché la corsa non era più a piedi, ma a cavalli. Cavalli vapore, quelli che stanno sotto un cofano. E quelle vetture cominciavano a rombare sui tredici chilometri e mezzo del circuito a velocità impressionanti: quasi 200 chilometri all’ora di media, e già negli anni
PCinquanta. Era Le Mans, la “Ventiquattr’ore” di tanti anni fa. Un mito. Quando i ragazzi rigiocavano la gara con i modellini in pressofusione di pregiate marche britanniche, la Dinky, la Crescent, la Corgi Toys. Una competizione di durata nata poco dopo che erano stati creati i suoi strumenti. La prima edizione partì il 26 maggio del 1923: il circuito era più lungo di quattro chilometri e vinsero André Lagache e René Léonard a bordo di una Chenard & Walcker sport. L’albo d’oro dei primi anni eroici è costellato di nomi automobilisticamente mitici: Lagonda, Bugatti, Hispano- Suiza, Talbot, Delahaye. Poi verranno sfide roventi fra le grandi Case che conosciamo ancor oggi: Ferrari e Ford, Alfa Romeo e Jaguar, Audi e Porsche. Comprensibile, visto che LeMansè un palcoscenico sensazionale: trecentomila spettatori ogni anno e una fama planetaria che l’ha resa sinonimo di corse emotori, pa- reggiata soltanto, forse, da quella di Indianapolis. Quella che parte il 18 giugno alle 15 è l’ottantaquattresima edizione. Di rado, da quando è nata, la 24 Ore ha marcato visita. Successe nel 1936 per ragioni economiche e dal 1940 al 1948, per la guerra mondiale e la dura ricostruzione successiva. Dopo la prima edizione, si è sempre disputata in giugno, con l’eccezione del 1968, quando la gara venne spostata a settembre: si era in pieno “Maggio francese” e l’Aco ( l’Automobile club de l’Ouest che l’organizza) aveva timore di contestazioni.
Altro che Formula Uno. Fin dal debutto, il circuito della Sarthe è stato un teatro agonistico ma anche un laboratorio scientifico. Ventiquattr’ore di gara comprendevano, ovviamente, una parte notturna e le prime edizioni concorsero a collaudare resistenza ed efficienza dei fari. Freni sulle quattro ruote e tergicristalli sono altri accorgimenti – oggi assolutamente banali – che qui hanno conosciuto le prime sperimentazioni su strada. Non basta. Dal punto di vista dell’evoluzione automobilistica ( nel senso delle