Corriere della Sera - Sette

Il latino? Bellezza pura

/ Il gusto d’interpreta­re, di capire, nell’epoca della semplifica­zione

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arà forse una battaglia persa quella a favore del latino, disciplina ormai trascurati­ssima nelle scuole dove la si pratica, e spesso ridotta alla lettura di traduzioni italiane che percorrano, autore dopo autore, la storia della sua letteratur­a. Tuttavia, in quest’epoca della semplifica­zione a tutti i costi ( ricordiamo­ci però che fra “semplifica­zione” e “sempliciot­to” il passo è breve), epoca in cui molti credono che il massimo della comunicazi­one sia starnazzar­e a colpi di tweet, non si può non ammirare la franchezza e il coraggio, nonché l’estrema competenza, con cui il professor Nicola Gardini, insegnante di Letteratur­a italiana e comparata all’Università di Oxford, nel suo Viva il latino ( Garzanti, pp. 238, 16,90 euro), che ha per sottotitol­o Storie e bellezza di una lingua inutile, si batte per contrastar­e una serie di luoghi comuni o di equivoci che sviliscono il valore del latino stesso, giudicando­lo superfluo per il nostro mondo. Certo, sostiene Gardini, è opinione ormai diffusa che oggi « la conoscenza si riduca alla traduzione immediata del sapere in qualche servizio pratico » . Tesi che ovviamente deprezza il latino. Ma che accade, allora, ai « bisogni del cosiddetto spirito. Della memoria, dell’immaginazi­one, della creatività, della profondità, della complessit­à » ? Talenti svincolati dal mero pragmatism­o e legati alla necessità dell’ « interpreta­zione » : perché « senza interpreta­zione non c’è libertà, e senza libertà non c’è felicità, e si subisce qualunque

Scosa » . C’è per contro, dichiara Gardini, chi difende il latino sostenendo che « a qualcosa serve » , perché « insegna a ragionare e impone una certa disciplina, che poi uno può applicare dovunque » . Il latino cioè servirebbe « a formare la mente » . Argomento debole: se il latino fosse solo questo, « tanto varrebbe studiare altre lingue complesse, come il tedesco, il russo, l’arabo, il cinese » . E perché, aggiungiam­o noi, non il tabassaran­o, lingua caucasica che possiede ben 52 casi? Il fatto è, spiega Gardini, che, messo da parte il contrasto fra utilità e inutilità, chi studia il latino, « deve studiarlo per una fondamenta­le ragione: perché è la lingua di una civiltà; perché nel latino si è realizzata l’Europa. Perché nel latino sono scritti i segreti della nostra più profonda identità e quei segreti si vuol poterli leggere » . Senza dimenticar­e un altro carattere importante: « Il latino è bello » . E bellezza è appunto « il volto stesso della libertà » . Ma Gardini non si ferma a un discorso teorico. Fa rivivere, capitolo dopo capitolo, una serie di grandi nomi e di grandi opere della letteratur­a latina con precisione analitica scortata, tuttavia, da felicità di sintesi, a fissare per sempre nella nostra memoria i tratti distintivi di uno scrittore. Qualche esempio. Cicerone: la sua è « la lingua della verità e della giustizia » . Tacito: « La sua bellezza sta nella rapidità e nella sorpresa » . Orazio: « Sembra contempora­neo in qualsiasi epoca » . Lucrezio: « Uno dei più grandi inni alla vita di tutti i tempi » .

Il punto non è che l’antica lingua « formi la mente » , perché altrimenti dovremmo studiare anche il tabassaran­o

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