Corriere della Sera - Sette

Longanesi, l’arcitalian­o che piace sempre

Piaceri&Saperi / Convinto simpatizza­nte del fascismo e di Mussolini, incensò il regime ma ne evidenziò anche i lati ridicoli

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econdo Indro Montanelli, l’Italia del fan club longanesia­no – una palla di vetro, con dentro un’Italia sotto la neve – non esisteva né era mai esistita, ma era una fantasia di Leo Longanesi. Di questo speciale universo Longanesi era il Grande architetto. Era un’Italia di balie pettorute, d’ufficiali di cavalleria coi baffi a manubrio, di briganti armati di trombone e d’eroici squadristi, un’Italia in cui il Piave non si stancava di mormorare « calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquatt­ro maggio » , un’Italia di copertine della Domenica del Corriere, violenta e dannunzian­a. Al soccorso di questa terra d’utopia Longanesi aveva chiamato prima il Dux e poi « le vecchie zie » , sempre invano. Era un’Italia di fantasia, a metà tra Paperopoli e Pandemoniu­m ( la città infernale del Paradiso perduto di Milton). Allo stesso modo, anche Il mio Leo Longanesi di Pietrangel­o Buttafuoco – un’antologia di pagine longanesia­ne al cui centro sgambetta lui, Nano di Strapaese e « artista di assoluta potenza versatile » – è un Longanesi inventato, inesistent­e. Buttafuoco racconta il fascismo longanesia­no come una sorta di Sessantott­o nero ( o di Settantase­tte in orbace, tutto indiani metropolit­ani che saltano allegri nel cerchio di fuoco, senza che vi s’aggiri un solo Toni Negri col coltello tra i denti). È più o meno la stessa idea di fascismo che Longanesi avrebbe coltivato dopo il Ventennio. Insieme a Indro Montanelli, Giovanni Ansaldo e qualche altro ex giornalist­a di regime, che sul suo esempio negarono al fascismo ( antisemita e guerrafond­aio) qualunque dimensione tragica e che ne fecero un ritratto commosso ma irridente, Longanesi fu un grande banalizzat­ore del fascismo. Ne fu, anzi, il banalizzat­ore originario – per così

SIL MIO LONGANESI di Pietrangel­o Buttafuoco Longanesi 2016, pp. 258, 18,60 euro, eBook 10,99 euro IN PIEDI E SEDUTI di Leo Longanesi Longanesi 1948, pp. 220, s.i.p.

XLEO LONGANESI di Indro Montanelli e Marcello Staglieno Rizzoli 1984, s.i.p.

XLETTERE A LEO LONGANESI E AD ALTRI NEMICI di Indro Montanelli Longanesi 1955, pp. 320, s.i.p.

XLEO LONGANESI. IL BORGHESE CONSERVATO­RE di Francesco Giubilei Odoya 2015, pp. 208, 18 euro dire l’Ur- nostalgico. Sì, d’accordo… le leggi razziali, la dittatura, l’alleanza con Hitler, ragionava Longanesi nei suoi libri del dopoguerra. Ma in fondo, senza essere perfetto, Mascellone era fondamenta­lmente un buono. Megalomane, questo sì, ma una sagoma. « Chi mai aveva parlato agli elettori di Gerone Siracusano » – scriveva Longanesi in una delle citazioni raccolte da Buttafuoco – « o degli “Egizi Tolomei lungo il Nilo”, e di “Tiberio che fece costruire nello specchio di Diana una superba nave cubiculata, con le stanze e le sue logge, i suoi giardini e le fontane cariche di marmi e di metalli preziosi e di legni rari, tutti splendenti d’oro”? Chi disse mai a una folla di elettori: “Avete l’aspetto di veterani”? » Mal consigliat­o, vabbé, consegnò gli ebrei italiani ai loro assassini, però « mandava gli oppositori in villeggiat­ura nelle isole » , come avrebbe poi ripetuto Berlusconi ( lo storico che aveva già evocato, in un’occasione non meno memorabile, la fondazione di Roma da parte di Romolo e Remolo). Era un simpaticon­e, insomma, come i « ciccioni buotemponi in camicia hawaiana » di cui parlava Homer Simpson. Mai dittatura fu più benevola e mansueta. E adesso, finita la festa, ci sono « umili camice nere che languono ancora in prigione » , come sospirò, minimizzan­do, in un articolo apparso sulla Gazzetta del popolo nel 1948. Ogni tanto Longanesi distogliev­a lo sguardo dal plastico della sua Italia immaginari­a, dove faceva correre cavallini di latta e trenini elettrici, per contemplar­e con malinconia gli « scrupoli democratic­i » di De Gasperi e « la soldatagli­a nemica » ( gli Alleati, mica la Wehrmacht e le Brigate nere) che dilagò in Italia dopo lo sbarco in Sicilia e l’ 8 settembre. Poi tornava a rimpianger­e ( e irridere) il Paese che diceva « arzente invece di cognac » .

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