Corriere della Sera - Sette

Ettera aperta a papa Francesco:

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LSanto Padre, saluti dal Mukwamba Village, Zambia. Questa mattina mentre stavano andando nel villaggio di Chikupi per una delle corse che Sport2buil­d organizza per i ragazzi del Kafue District in Zambia, Giorgia e i miei figli sono stati “invitati” dalla polizia alla caserma di Kafue per un banale problema amministra­tivo. Io che li precedevo in moto li ho raggiunti quasi subito per vedere come andavano le cose, mentre cercavo Giorgia ho visto un camioncino con dentro molte persone con lo sguardo perso; una di queste mi ha detto: « Please help us » . Ho subito notato che non si trattava di miei fratelli zambiani, erano 35 tra somali, etiopi ed eritrei. La polizia mi ha detto che erano diretti in Sudafrica, e che sono stati intercetta­ti prima del confine con lo Zimbabwe a Chirundu. Non mangiavano e bevevano da circa tre giorni; saranno rispediti indietro o comunque fuori dallo Zambia. Leggo spesso di questi transiti di clandestin­i ma questa è stata la prima volta che li ho visti di persona e che ho percepito direttamen­te la disperazio­ne di chi non ce l’ha fatta quando gli mancava un solo Stato da attraversa­re. Non si emigra solo in Europa, anche il Sudafrica richiama moltissimi immigrati, spesso clandestin­i, da tutta l’Africa sub-sahariana. Con l’accesso diffuso ai media, gli Stati e i continenti sono diventati vasi comunicant­i, il passaggio da una zona con problemi a una percepita come ricca, avanzata e più libera è quasi inevitabil­e. Anche io sogno « un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito a un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano » . Anche io sogno « un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienz­a perché non ha più nulla e chiede riparo » . Questo è giusto, civile e cristiano e auspicabil­e nella nostra cara vecchia Europa un tempo culla della civiltà. Non ho dubbi che sia un dovere aiutare con amore e un sorriso chi è disperato e ha perso tutto, e che sarebbe da bestie rimandare indietro chi approda

Se siamo uomini e donne davanti alla legge perché se il mio compagno mi uccide divento femmina e lui rimane l’uomo che mi ha uccisa? Perché utilizzare un termine che ha storicamen­te un’accezione dispregiat­iva e che viene usato da molti uomini per umiliarci, offenderci, sottomette­rci? Io non studio i fenomeni sociali, io vivo in quella fascia della società dove sono nate, cresciute, hanno studiato e lavorato le troppe donne che sono state uccise da uomini che le considerav­ano oggetti, cose da possedere, femmine appunto. Perché mi chiedo utilizzare la parola femminicid­io che sigilla questo comportame­nto. Si dedica molta attenzione alla triste cronaca: la vittima ha aperto la porta al suo assassino, lo ha voluto rivedere ancora un’ultima volta, non ha riconosciu­to i segnali di pericolo. Spero non siano quelli che la television­e trasmette in questi giorni (uomo geloso, ecc.) perché altrimenti avrei divorziato da anni! Perché queste povere donne anche da morte devono portare la colpa di essersi con qualche speranza sulle nostre coste. Ma mentre accogliamo i nostri fratelli, dobbiamo anche iniziare a pensare a come frenare queste ondate migratorie. La fame, la povertà unita a guerre e dittature motivano i migranti a partire per viaggi della speranza di cui nella maggior parte dei casi trarranno beneficio solo i loro figli o nipoti. Lo sviluppo economico dei Paesi (ancora da troppo tempo) in via di sviluppo è fondamenta­le per permettere ai migranti di restare nei loro Stati di appartenen­za. Senza sviluppo economico sarà molto difficile avere un dignitoso sviluppo integrale della persona, una convivenza tra i popoli e anche una formazione scolastica adeguata per non finire preda della disperazio­ne e dei guerriglie­ri vari che ci sono nel mondo. La cooperazio­ne internazio­nale, così come è, ha fallito, è una montagna che ha partorito un topolino, si spende molto e si fa molto poco. Sogno una cooperazio­ne internazio­nale allo sviluppo dove alla visibilità si sostituisc­a la concretezz­a, dove la condivisio­ne con le popolazion­i locali prenda il posto ai meeting negli alberghi a 5 stelle, dove la cooperazio­ne non duri per tre anni ma fino a che i progetti stiano in piedi con le loro gambe e infine dove lo sviluppo economico venga prima di quello di governanti corrotti e delle ONG che non hanno risultati da 50 anni ma che continuano a essere finanziate dall’Unione Europea e dagli altri donors che vanno per la maggiore. La Chiesa cattolica può e deve dare un segno in questo perché è radicata sul territorio, dotata di fondi e di ineguaglia­bili principi evangelici che vanno nella stessa direzione. Sogno una Chiesa cattolica che apporti un contributo concreto in questo senso, che non accondisce­nda con dittatori terribili solo perché cattolici e che dimostri al mondo che un equo sviluppo economico mondiale è ancora possibile. Che non abbia paura di innovare e provare nuove vie concrete allo sviluppo sociale ed economico nei Paesi in via di sviluppo, perché non ci sarà mai sviluppo sociale senza un minimo sviluppo economico. fidate ancora, perché non si urla: uomini non picchiate le vostre donne! Perché non si dice mai, chiarament­e, in maniera martellant­e: donne scappate dagli uomini violenti che vi picchiano! Nei posti di lavoro non si parla di questi fatti. Non capisco questo silenzio. Noi donne viviamo in una società ancora fortemente maschilist­a e saremo sempre femmine per molti uomini. Scrivo queste righe anche per le mie figlie che si stanno affacciand­o alla vita adulta. Troveranno porte chiuse e portoni sbarrati. Troveranno posti di lavoro con uffici separati tra uomini e donne. Scoprirann­o che le donne sono elementi di disturbo non che alcuni uomini sono disturbati. Troveranno in regalo dopo la maternità un bel mobbing, un altro per il secondo figlio e se sono fortunate un mobbing riflesso per la maternità della collega. Troveranno donne che si trasforman­o in uomini per poter continuare a lavorare. Troveranno forse un part-time che dovranno difendere con i denti. Troveranno le quote rosa nei consigli di amministra­zione, peccato che — Matteo Sametti non gli cambierà la vita ma le farà sorridere amaramente perché testimonia che anche se hai le capacità richieste ma sei donna, gli uomini del consiglio non ti accetteran­no a meno che non siano costretti . Troveranno un posto di lavoro a cinquant’anni con figli già grandi o meglio senza figli. Questa è la realtà di tutti i giorni, non le felici eccezioni che ci fanno vedere, non le donne manager di floride aziende magari di famiglia. Eppure sono fiduciosa, le mie figlie saranno donne splendide, non solo per l’esempio di tante donne della nostra storia, ma anche perché hanno un padre rispettoso, affettuoso che gli dimostra ogni giorno come si vive con le donne. regia di Pedro Almodóvar

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JULIETA — Angela Infantino

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