Corriere della Sera - Sette

Oggi la Grecia è un atto d’accusa all’Europa

Tutti sappiamo che il debito del Paese andrebbe in parte condonato perché non rimborsabi­le, ma rifiutiamo di ammetterlo imponendo altri, impossibil­i sacrifici

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Sono tornato ad Atene di recente e ho trovato una città sottilment­e mutata. All’inizio della crisi dell’euro si respirava lo choc, quasi un’incredulit­à per una situazione nella quale gli ateniesi non avrebbero mai immaginato di trovarsi; ne è seguita la ricerca di un capro espiatorio, uno qualunque, quindi il sacrificio di misure di bilancio molto pesanti e infine un confuso ma accesissim­o spirito di rivolta. L’apice di quest’ultima stagione è arrivato nel 2015 con il grande “No” a un nuovo programma di sacrifici nel referendum, seguito a distanza di poche ore dall’inversione di marcia di un governo che non poteva far altro che chiedere un altro prestito al resto d’Europa, accettarne le condizioni e restare nell’euro. E ora? Quelle condizioni ormai sono attive sul tessuto della società greca, incluso un nuovo aumento dell’aliquota delle tasse sulle imprese al 24% e altri tagli sulle pensioni. Negli ultimi otto anni il governo di Atene ha ridotto il deficit dell’ 11% del prodotto lordo mentre quest’ultimo crollava del 29%. Nel frattempo il debito pubblico non ha fatto che esplodere, ormai non lontano dal 200% del Pil malgrado due successive ristruttur­azioni. Non servirebbe molto altro a dimostrare il naufragio dei programmi che l’Europa ha imposto ai greci dal 2009. Non servirebbe altro, ma di recente una verifica indipenden­te commission­ata dal Fondo monetario internazio­nale ha emesso un giudizio devastante sulle interferen­ze politiche di alcuni governi europei e sugli errori che hanno inquinato dall’inizio il “salvataggi­o” della Grecia. Oggi Atene è cambiata. Allo choc e allo spirito di rivolta si è sostituito uno stato di profonda resa. Nessuno si aspetta altro rispetto a ciò che ha. Ancora una volta il governo sta seguendo istruzioni irrealisti­che dei creditori europei, che dovrebbero portarlo a gestire praticamen­te all’infinito un avanzo di bilancio del Negli ultimi otto anni il debito pubblico greco è esploso: ormai non è lontano dal 200 per cento del Pil malgrado due successive ristruttur­azioni. 3,5% del Pil prima di pagare gli interessi. Sembra irrilevant­e per il resto d’Europa che nessun Paese nella storia sia riuscito a sostenere questo livello di surplus ( a parte il Belgio per qualche tempo 20 anni fa) ed è improbabil­e che possa riuscirci un’economia affranta da quasi un decennio di recessione. Sembra irrilevant­e ma, tragicamen­te, non lo è: quando tra un anno si vedrà che la debolezza dell’economia impedisce alla Grecia di centrare gli obiettivi, dovranno scattare nuovi tagli automatici di bilancio, dunque nuova recessione e l’ennesimo avvitament­o verso il basso. Per quanto grandi siano stati gli errori della Grecia, il suo stato oggi è un atto di accusa verso l’Europa. Permettiam­o che una piaga sul nostro fianco vada in cancrena. Tutti sanno che il debito greco non è rimborsabi­le e andrebbe in parte condonato, ma rifiutiamo di ammetterlo perché ciò sarebbe impopolare fra gli elettori tedeschi e dunque imponiamo a quel Paese sacrifici impossibil­i che non fanno che compromett­erne ancora di più il futuro. Una nazione di 11 milioni di abitanti ha visto emigrare mezzo milione di laureati dal 2009, la sua capacità di sviluppars­i è già rovinata per decenni a venire.

DOTTOR KEYNES E MISTER MELCHIOR. Camminavo giorni fa nelle strade di Atene e non ho potuto fare a meno di pensare a un saggio di John Maynard Keynes. Si intitola Dr. Melchior: A Defeated Enemy (“Dottor Melchior, un nemico sconfitto”) ed è il ricordo di Keynes del momento in cui nel 1919 negoziava i dettagli della resa tedesca dopo la Grande Guerra. In particolar­e, il grande economista di Cambridge a un certo punto cercò di trovare una soluzione che permettess­e di levare il blocco navale sulla Germania, perché questa si approvvigi­onasse di derrate alimentari ed evitasse ciò che all’epoca britannici e americani temevano di più: una rivoluzion­e bolscevica. Uno dei grandi ostacoli allora era l’ostinazion­e francese a rifiutare qualunque concession­e nei confronti della Repubblica di Weimar. La contropart­e tedesca di Keynes nel negoziato era questo “dottor Melchior”, un ebreo colto, ragionevol­e e pessimista sul futuro del proprio Paese. Non sappiamo cosa ne sarebbe stato all’avvento del nazismo. Fra Melchior e Keynes allora si creò uno spirito di cooperazio­ne e quasi di amicizia, non così fra le potenze dell’epoca che gettarono le basi per un collasso dell’ordine europeo nei decenni seguenti. Camminavo per le strade di Atene giorni fa, e non potevo fare a meno di chiedermi quanto le tossine di questa storia europea agissero nel sangue dei governanti attuali. Oggi vittima di quel blocco navale è la Grecia.

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La dura legge dei numeri
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