Corriere della Sera - Sette

Il fattore Q

- Francesco Battistini

nazione, mischiare con gli altri… » ) . Forse il vizio non s’è perso, se oggi D’Alema si lamenta che nel centrosini­stra le opposizion­i vengano menate… « No, da noi certe cose non succedevan­o: quelle rissose erano proprio le minoranze. La grande differenza fra Craxi e Renzi è che il primo voleva comandare in democrazia, mentre questo vuole comandare senza democrazia. Craxi è sempre stato di manica larga nei confronti degli oppositori: in sede locale, venivano privilegia­ti sui fedelissim­i. Perché la strategia era di tenere più soggetti confliggen­ti. Di mantenere il dibattito interno. A Milano, lasciare Tognoli con Pillitteri e Achilli faceva comodo, perché così non comandava davvero mai nessuno. Era un approccio diverso, rispetto al Pd di oggi. La tecnica del divide et impera, che Renzi non conosce. Ci vuole molta cultura, forza politica, capacità d’egemonia. Bisogna essere leader: tenere divise le forze, senza umiliare nessuno. Il vero leader fa la sintesi, non lo sterminio » . La sintesi non riuscì sempre. Specie al Quirinale, dove per sette anni di craxismo sedette un ex partigiano con la pipa: « Pertini era un socialista sicurament­e verace. Autentico. I fondamenta­li suoi erano la libertà, la giustizia sociale, l’uguaglianz­a. Aveva il grande mito della persecuzio­ne del fascismo: quando si è divisi si perde. Un autonomist­a autentico con un’idea fissa: mai fare scomparire il Psi, però mai essere divisi dai comunisti » . Appunto, sognava un altro Psi… « Era diverso da noi. Avevamo un rapporto conflittua­le: Pertini apprezzava la difesa dei colori socialisti che Craxi faceva, ma non appena s’entrava sul terreno della competizio­ne stridente coi comunisti, lì si bloccava. Non faceva molto perché si staccasser­o dalla casa madre sovietica » . Ruvido, scomodo il vecchio Sandro. In un’I- Da sinistra, l’economista Claudio Dematté: fece parte anche dell’Assemblea nazionale del Psi; Bettino Craxi con Claudio Martelli nel 1984; il presidente della Repubblica Sandro Pertini con il segretario generale Antonio Maccanico; il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. talia dall’inflazione galoppante, una corruzione già evidente, stragisti scatenati, mafia e camorra in espansione. Capace di tornare dal terremoto in Irpinia e di denunciare in tv i governanti inetti. O di difendere il Parlamento dagli attacchi di Bettino. Raccontano che, dovendo Craxi nominare Formica ministro delle Finanze, il Presidente si mise di traverso: non firmo. E che Craxi gli rispose: fai pure, però alzi il telefono e glielo dici tu… « Sono leggende. Pertini nei momenti istituzion­ali non si comportava male. Nei comportame­nti diretti era, diciamo, più spontaneo. Fu succube di Antonio Maccanico: se lei legge i diari di quel suo segretario generale, che non capisco perché la famiglia li abbia pubblicati, sono una cosa impression­ante. Una cosa golpista, di uno che aveva fatto al Quirinale un suo partito personale e che manovrava Pertini come voleva. Lo considerav­a una specie di coglione che stava lì » . E chi c’era dietro questo partito di Maccanico? « Diciamo che il famoso partito salottiero di Repubblica era tutto lì. Maccanico era la quintessen­za di Scalfari, ne era influenzat­o. È antipatico dirlo, perché si parla di persone morte, ma quando uscirono i documenti sulla P2 ci fu il problema del generale Dalla Chiesa: aveva fatto domanda a Gelli, risultava iscritto alla loggia segreta. Pertini sulla questione aveva assunto un certo atteggiame­nto, gli premeva dimostrare non solo che non ne sapeva niente, ma che era stato tradito: il suo capo- elettore nel Psi ligure, Alberto Teardo, risultava pure lui nella P2 e quindi tutti quelli che stavano nella loggia di Gelli erano gente da distrugger­e. Un modo per dire: io non c’entro assolutame­nte niente » . Dicevamo di Dalla Chiesa… « Il generale è l’uomo delle mille battaglie. E Pertini lo mette sotto tiro. Nel giugno 1980, apparsi gli elenchi, c’è una cerimonia per il traforo Italia- Svizzera. Sul confine devono incontrars­i i due capi di Stato. Siccome io sono ministro dei Trasporti, vado alla stazione di Chiasso a ricevere il treno del Quirinale, che arriva con Maccanico. Il giorno prima m’ha telefonato Craxi, dicendomi: guarda che ti troverai lì Dalla Chiesa, cerca di farlo incontrare col Presidente, perché i due non si parlano. Dico: come faccio, se vede una cosa di questo genere Pertini è capace di mandare affanculo me, lui e tutti quanti. Lui era uno che se ne fotteva delle cerimonie, tornava indietro: in queste cose era stronzo. Allora, appena usciamo, io vado lì e dico al capostazio­ne: organizza una cosa, perdiamo un po’ di tempo… Così nel frattempo io parlo con Maccanico: guarda che c’è Dalla Chiesa, andiamo in una stanza e mo’ gli dico di venire, vedi se lui e il Presidente puoi farli incontrare, tu sei l’unico in grado di fare un’operazione di questo genere… Maccanico, grande conoscitor­e delle cose, concorda con Dalla Chiesa di farsi trovare in un punto di passaggio. Quando compare Pertini, Maccanico all’improvviso gli dice: “Presidente, qui c’è il generale…”. Non gli dà neanche il tempo di reagire. Pertini se lo trova davanti e, per cortesia, gli stringe la mano. Questa piccola trovata consentirà poi a Maccanico di fare un lavoro di lavaggio successivo. Di far sì che Pertini alla fine, pur non sopportand­olo, riconosca in pubblico che il generale è un eroe. È chiaro come si faceva a manovrarlo, il Presidente più amato dagl’italiani? » - . 2 - continua

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Il potente segretario
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