Tessere èun’arte che ci hainsegnato Duchamp
Prima la produzione di cappelli di paglia, poi sono arrivati i tessuti. Ma le frequentazioni con personalità di Fluxus (e non solo) hanno cambiato per sempre gli orizzonti dell’azienda
Bonotto
Un incubo. Per di più, variabile nelle forme ma ricorrente. Così appariva a Giovanni Bonotto, da bambino, quella vocazione che ha reso eccezionale la sua azienda, unico o quasi lanificio sopravvissuto oggi in una zona che ne contava una cinquantina ancora pochi anni fa. E sopravvissuto non è la parola giusta, visto che la Bonotto continua a crescere e il fatturato dell’anno scorso – una quarantina di milioni – è il migliore di sempre. « Impollinare la manifattura con l’arte » , è la ricetta che Giovanni predica, orgoglioso di un’imponente raccolta di opere riconducibili soprattutto alla stagione di Fluxus ( il multiforme movimento artistico nato e cresciuto dal 1961 fra New York e l’Eu- ropa, la Germania, in particolare), creazioni conservate nell’archivio della Fondazione aziendale ma anche distribuite tra i telai, i magazzini e gli uffici della fabbrica, per l’iniziale stupore dei dipendenti, ormai più di trenta anni fa. Una quota di scetticismo che si è trasformata via via in partecipe senso d’identificazione: « Tanto che oggi non ci consideriamo più solo operai... » , aggiunge Giovanni, classe 1967, oggi direttore artistico della ditta, quarta generazione col fratello Lorenzo, di tre anni più giovane, amministratore delegato. Tutto bello, tutto lungimirante. Ma un incubo lo stesso per Giovanni, al tempo della sua infanzia. Ovvero risalendo ai primi anni 70, quando suo padre prende a ospitare uno dei padri delle avanguardie novecentesche: Marcel Duchamp. « Si mettevano a giocare a scacchi insieme. Per ore, senza aprire bocca. E, poi, appena arrivava Duchamp, in famiglia non mi filavano più. Lui poi, mi metteva una gran soggezione » . È il primo grande artista di una lunga serie in casa Bonotto. Succede che arrivi un signore ameri- cano dall’ingegno bizzarro e variegato, John Cage. Giovanni lo ricorda per ragioni che un po’ esulano dalla sua creatività: « Stava in una camera sopra la mia. Non dormiva mai, era un continuo di strani rumori per tutta la notte » . Ma poteva capitare di peggio: « Cominciò a venire abbastanza di frequente anche una giapponese. Come s’insediava in casa, decideva di darmi da mangiare tofu e soia... A me! Che allora avevo in mente soltanto le merendine Motta con la Nutella! » . La “giapponese” del piccolo Giovanni era Yoko Ono.
Angosce adolescenziali. Sfrondata di queste angosce adolescenziali – minime, ma non troppo – è una grande storia che combina oculatamente industria e creatività artistica. Si potrebbe dire che la comincia Luigi, il bisnonno di Giovanni, classe 1878, originario di Marostica e bravissimo a intrecciare cappelli di paglia, tanto da contare fra i clienti celebrità come Ernest Hemingway e Maurice Chevalier. La piccola ditta di via Panica passa al figlio Giovanni,