Maurizio Serra
Brecht. E morì suicida, stanco di «combattere»
Fa molto caldo a Salisburgo, nell’estate 1934, un caldo statico e malato senza le brezze salutari che scendono di solito dall’arco alpino. Una fotografia mostra tre gentiluomini di mezz’età, impeccabilmente vestiti e incravattati sotto il sole cocente, che sorridono all’obiettivo tenendosi amichevolmente sotto braccio. Ma il loro sguardo è velato, quasi presago del futuro di morte e distruzione che sta per abbattersi sul continente. Due di loro provengono dalle file dell’intellighenzia ebraica mitteleuropea, il terzo è figlio di un sarto garibaldino di Parma. Stefan Zweig e il direttore d’orchestra Bruno Walter hanno già un piede nell’esilio, dove Arturo Toscanini li seguirà di lì a poco. Il nuovo mondo si accinge ad accogliere gli esponenti migliori ( o superstiti e più fortunati) dell’Europa che precipita nella notte del totalitarismo e della guerra. Toscanini, che all’inizio aveva condiviso gli ideali cosiddetti “patriottici” modernizzatori e repubblicani del fascismo, è già stato schiaffeggiato a Bologna dagli squadristi nel maggio 1931. Manterrà la residenza in Italia ancora per qualche anno, ma rifiutando di dirigervi sino alla Liberazione. Walter ha dovuto abbando- nare il podio di un concerto a Berlino, rischiando conseguenze anche peggiori, e ha lasciato la Germania nel marzo 1933, due mesi dopo la conquista nazista del potere. Contemporaneamente, da Vienna è partito per Londra Zweig, da sempre nel mirino di fanatici ed estremisti per le convinzioni pacifiste che già durante la Prima guerra mondiale lo avevano costretto a riparare in Svizzera. Il festival di Salisburgo, presieduto da un ex ufficiale di cavalleria e appassionato musicologo che sembra uscito dalle pagine de L’Uomo senza qualità, il barone Heinrich Puthon, rappresenta ancora un’oasi di pace e libertà artistica, laddove il rivale tempio wagneriano di Bayreuth è diventato una vetrina propagandistica del Terzo Reich. Zweig, che nel monte dei Cappuccini ha comprato con i primi proventi editoriali una residenza molto amata e pazientemente restaurata, il castello di Pasching, dove conserva la preziosa collezione di autografi e manoscritti che non ha potuto portare all’estero, vi effettua ancora qualche soggiorno sporadico. Come se non bastassero le angosce politi- che, attraversa un momento delicato nella vita privata, conteso tra una prima moglie, la volitiva Friderike von Winternitz, che è anche il suo efficacissimo agente letterario e lotta come una tigre per non perderlo, e la bella e sognante segretaria, Lotte Altmann, più giovane di vent’anni, che fin dal primo giorno lo fissa adorante con i suoi larghi e dolenti occhi scuri.
Eccellente nella misura breve. Al di là delle apparenze, Zweig non ha mai avuto vita facile, neanche prima della peste bruna. In cuor suo, esule lo è sempre stato. Nato a Vienna nel 1881 in una famiglia facoltosa di banchieri e imprenditori, si è scontrato fin da ragazzo con i pregiudizi, i conformismi e le ingiustizie dell’Impero al tramonto, radiografato in uno dei suoi
Come se non gli bastasero le angosce politiche, attraversa un momento delicato nella vita privata, conteso tra la moglie e la bella e sognante segretaria