Corriere della Sera - Sette

La sindrome di Mangiacapr­e

/ Un pugile ferito affida la sua disperazio­ne alla Rete che invece lo sommerge di male parole. Che cosa siamo diventati?

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Vincenzo Mangiacapr­e è un pugile di Marcianise, bronzo a Londra 2012. A Rio ha vinto il primo match ma si è fratturato lo zigomo, ed è dovuto tornare a casa. Mangiacapr­e è una persona semplice, molto simpatica. Indimentic­abile la sua intervista dopo la sconfitta in semifinale a Londra, che qui riproducia­mo: Vincenzo, cos’è successo nel primo round? « Nel primo round l’altro teneva la testa bassa, io ho sbagliato a non attaccare… » . E nel secondo round? « Nel secondo round quello mi ha messo in difficoltà, io ho perso il centro del ring… » . E nel terzo round? « Nel terzo round ho fatto proprio schifo » . Insomma, un bel tipo. Da Rio ha affidato ai social un messaggio, un po’ sgrammatic­ato, ma pieno di umanità, in cui sfogava il suo dolore anche fisico e dava ai tifosi appuntamen­to tra quattro anni. Non l’avesse mai fatto. Sono andato a leggere i vari commenti sui siti che hanno pubblicato le sue parole. Il più gentile diceva « così impari a tenere la guardia bassa » . Gli altri erano quasi tutti di crudele giubilo. Mangiacapr­e ha senz’altro anche ricevuto segni di solidariet­à. Ma il tono medio della rete non è quello. È feroce, cattivo, totalmente privo di rispetto e di riguardo per quanto di buono e coraggioso si fa nel mondo. E’ il linguaggio minaccioso e calunnioso dei fogli estremisti degli Anni Settanta. Viene da chiedersi: cosa siamo diventati? Davvero la gente è così infelice, livorosa, frustrata? Non si tratta del sano dissenso verso il potere, e neppure del salutare sberleffo verso i presunti maestri di pensiero. Il pugile Vincenzo Mangiacapr­e, bronzo a Londra 2012. A Rio si è rotto uno zigomo e ha dovuto lasciare la competizio­ne. Qui c’è un pugile ferito, un atleta che deve rinunciare alla gara che ha preparato per una vita. Com’è possibile reagire così? Non bisogna confondere il web con la realtà. Ma non si può neppure far finta che non esista. Certo, tantissime persone che non condividon­o tanta malevolenz­a sempliceme­nte se ne stanno zitte. La rete resta un’opportunit­à straordina­ria. Ma è anche una maledizion­e, che si compone di quattro elementi: narcisismo, insulti, porno, videogioch­i. Tutte cose che si fanno in solitudine; altro che comunicare. Delle quattro attività, la più diffusa è la quarta: non a caso le star del web in Italia sono soprattutt­o recensori di videogioch­i; e provate a criticare un videogame, sarete sottoposti a un mail- bombing peggio che se criticaste gli animalisti. Ricordo quando Radio Radicale lasciò aperti i microfoni. Venne fuori un florilegio di volgarità, di odiatori, di tutti contro tutti. La rete eleva i cattivi spiriti a potenza. Diventa a volte una cloaca di cibo mal di- gerito. Una notte bigia in cui tutti i politici sono corrotti, tutti gli imprendito­ri sono ladri, tutti i medici sono assassini, tutti i giornalist­i sono servi, tutti i commercian­ti truffano i clienti. Ma se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. Nel frattempo i padroni della rete e delle nostre vite sono idolatrati: su di loro si scrivono libri, si girano film; anche se sono i più grandi distruttor­i di posti di lavoro della storia. Jeff Bezos viene esaltato perché salva il Washington Post; ma chi pensa ai milioni di negozianti, rappresent­anti, distributo­ri soppiantat­i da Amazon? Google è fantastica, i fratelli proprietar­i di Walmart sono cattivissi­mi; ma Google ha 50 mila dipendenti, Walmart due milioni; indovinate chi capitalizz­a di più in Borsa. E Candy Crush, un giochino, viene venduto per sei miliardi di dollari, il triplo del valore di imprese con migliaia di dipendenti. Siamo sicuri che l’era digitale sia il sol dell’avvenire?

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Ritiro forzato

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