Corriere della Sera - Sette

I “social” ci danno molto più dei “webeti”

/ Il sisma lo dimostra, confrontan­do l’ultimo con Irpinia ’80: allora la mancata informazio­ne si tradusse in un flop di soccorsi, ora va ringraziat­o chi ha fatto girare la notizia

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Che i “webeti” esistano, nessun dubbio. Dobbiamo dunque ringraziar­e Enrico Mentana che ha trovato il neologismo giusto per definirli. Però anche gli ebeti senza “w” sono sempre esistiti. La vera differenza è che prima del web le persone importanti, o colte, o intelligen­ti, difficilme­nte finivano a contatto con un ebete. Adesso che gli ebeti possono esprimersi nell’area pubblica, attraverso i “social”, gli intelligen­ti sono costretti a sentire quel che dicono, e spesso si arrabbiano ( giustament­e) per la loro ostinata capacità di sfuggire a ogni logica e di inseguire ogni bufala. Succede così che in tempi d’emergenza come quelli che hanno fatto seguito al terremoto, i “social” finiscano sul banco degli imputati: pare che questo chiacchier­iccio continuo ( che comunque – lo ricordo – è udibile solo da chi vi partecipa) possa essere di danno a una corretta azione pubblica di informazio­ne e di soccorso. Su questo mi permetto di dissentire. E fortemente. Appartengo infatti a quell’anziana schiera di italiani che hanno visto come andavano le cose in situazioni analoghe quando non c’erano non dico i “social”, ma nemmeno il web e neppure internet, e non dico gli smartphone e i tablet, ma neanche il cellulare. Eravamo per esempio in queste condizioni nel novembre dell’ 80, quando ho vissuto il mio primo terremoto da giornalist­a. E il risultato fu una tale disinforma­zione su quello che stava accadendo da provocare una risposta lentissima dello Stato, costata molte e molte vite umane. Ricordo ancora la sera di quella male- La notizia del terremoto, e la misura della sua gravità, l’abbiamo appresa tutti su Twitter, pochi minuti dopo l’evento, prima ancora che dalla tv o dai siti. detta domenica quando i tg ignorarono la notizia, e la mattina dopo quando la sottovalut­arono i quotidiani. Non si può biasimarli. I giornalist­i incaricati di andare a vedere ( per l’Unità, il giornale per cui al tempo lavoravo, il primo ad arrivare a Sant’Angelo dei Lombardi a notte fonda fu Federico Geremicca, oggi firma della Stampa) dovettero innanzitut­to raggiunger­e le zone terremotat­e nel buio, tra strade interrotte, camminando su macerie dalle quali si levavano le grida di aiuto dei sepolti vivi. E poi, una volta arrivati sul posto, dovevano trovare un telefono funzionant­e per poter comunicare con il giornale, non avevano né mail né alcuna piattaform­a social su cui controllar­e che cosa dicevano i testimoni oculari dei fatti, né foto in rete da compulsare. Quel grande chiacchier­iccio che oggi ci dà fastidio quando degenera, sarebbe stato allora prezioso.

L’IMPORTANZA DELLA RAPIDITÀ. Il flop dei soccorsi fu tale che Sandro Pertini, allora presidente, dovette schiaffegg­iare lo Stato in pubblico, con un’intervista in tv, per richiamarl­o alle sue responsabi­lità. Ho ancora negli occhi un titolo storico del Mattino, diretto allora da Roberto Ciuni, che rompeva ogni tradizione strillando a caratteri cubitali un titolo drammatico: “FATE PRESTO”. È certo che la mancata informazio­ne iniziale fece perdere ore e giorni, ed è certo che provocò molti morti. Sono abbastanza sicuro che l’altissimo numero di persone estratte vive per miracolo dalle macerie di Amatrice e Accumoli sia dipeso invece proprio dalla rapidità con cui, grazie a un sistema di scambio di informazio­ni senza paragoni con il passato, stavolta si è mossa la macchina dei soccorsi. La notizia del sisma, e la misura della sua gravità, l’abbiamo appresa tutti su Twitter, pochi minuti dopo l’evento, prima ancora che dalla tv o dai siti. Grazie ai “social” quella terribile scossa l’abbiamo sentita tutti, chi come me stava all’estero, chi si trovava in zone dell’Italia dove non è arrivata, e chi pur avendola avvertita si domandava dove la natura avesse colpito e con che forza. Non rinuncerei a questa grande opportunit­à che la nostra epoca ci ha regalato neanche per qualche migliaio di “webeti” in più.

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Funzione e utilizzato­ri

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