Vecchio frac
La televisione si dà un codice e vieta temi e parole. Nascono governi e formule di governo. Muore un nobile siciliano: suicidio? Modugno ne racconta la storia
Anno nascente. La seconda follia mondiale si è chiusa nove anni prima e la ricostruzione si fa sentire. 3 gennaio, domenica. Debutta ufficialmente la televisione in Italia e questo appartiene al raccontato più volte. Ricordo solamente la figura dell’amministratore delegato di allora, Filiberto Guala. Rigoroso, intransigente, la leggenda vuole creato da lui il cosiddetto “Codice Guala”, un elaborato sullo stile di un altro documento americano, il “Codice Hays”. Will Harrison Hays è il direttore delle Poste degli Stati Uniti d’America e, nei Trenta, scrive una serie di regole cui è necessario uniformarsi laddove si voglia girare un film. Immaginabili: vincono i buoni, poca violenza, guai a parlare di omosessualità e via censurando. Una ventina di anni dopo Guala trasferisce e adatta quei contenuti americani alla televisione italiana appena nata e da quel momento “Non è consentita la rappresentazione di scene e vicende che possano turbare la pace sociale o l’ordine pubblico […] le vicende che derivano dall’adulterio e con esso s’intrecciano non devono indurre in antipatia il vincolo matrimoniale; attenta cura deve essere posta nella rappresentazione dei fatti o episodi in cui appaiono figli illegittimi.” Sarà proibito l’uso delle parole “alcova”, “amante”, “cazzotto”, “membro” e via disciplinando. 5 gennaio muore il governo Pella, ma nasce il 18 il primo governo di Amintore Fanfani, cavallo di razza della Democrazia Cristiana: è un monocolore Dc. Non ha vita lunga e muore l’ 8 febbraio. Ne rinascerà un altro, tripartito, con Democrazia Cristiana, Partito Socialista Democratico Italiano e Partito Liberale Italiano. È la prima Repubblica allo stato nascente, con riti e parole finiti nell’archivio della storia: le consultazioni per un governo, i pareri dei partiti, le for- mule più variabili. Qui c’è da sbizzarrirsi e altroché “Codice Guala”: monocolore, tripartito, quadripartito, pentapartito, con o senza l’appoggio esterno, via via fino ad arrivare alla non fiducia. Sì, anche la non fiducia nelle ritualità pregovernative della prima Repubblica. È la creatività italiana, la nostra esuberanza artistica riconosciuta dal mondo intero, spesso stupefatto da questa alternanza di colori, certamente adatta alla storia dell’arte, un po’ meno alle politiche di governo. 30 novembre, alba. Raimondo Lanza di Trabia cade dalla finestra dell’Hotel Eden a Roma. Siamo ad un passo da via Veneto, in un’anticipazione amara della Dolce Vita. Raimondo è un nobile con una storia altrettanto colorata: non ancora quarantenne, da giovane legato al fascismo per poi cambiare rotta e diventare un protagonista della vita italiana ricostruita. Una vita da vivere intensamente, con amori e amicizie illustri, feste incredibili, una moglie stupenda, sposata dopo aver avuto storie con nobildonne, attrici, indossatrici. La moglie è Olga Villi, attrice anche lei e un paio di gambe da capogiro. Tra le fidanzate si sussurrano i nomi di Rita Hayworth, Carrol Baker, Suni Agnelli. Ama lo sport ed è presidente del Palermo calcio e nel calcio inventa il mercato all’Hotel Gallia, punto di incontro per la compravendita dei calciatori. Insomma, un suicidio inspiegabile a meno di non voler evocare il desiderio di “bruciare la vita”, caratteristica di quel mondo a colori un po’ troppo accesi. Recentemente la figlia Raimonda ha riaperto il caso, suggerendo un omicidio legato a vicende oscure, anche queste presenti spesso a contrastare i colori stravaganti della prima Repubblica: Raimondo non scendeva all’Eden, Raimondo non aveva motivi per suicidarsi, Raimondo cade da quella finestra come se fosse gettato. E all’Eden alloggiava Enrico Mattei, con il Domenico Modugno canta la censura lo costringerà a cambiare l’ultimo verso che avrebbe alluso a contatti fisici “immorali”.
In tv, “le vicende legate all’adulterio non devono indurre in antipatia il vincolo matrimoniale”; proibito l’uso di parole come “alcova” e “cazzotto”
quale Raimondo – forse – stava trattando qualcosa. Non è il mio mestiere riaprire casi di cronaca e non lo era nemmeno di Domenico Modugno. Ma Mimmo resta impressionato dalla fine di questo nobile siciliano, prende la chitarra e compone: “È giunta mezzanotte / si spengono i rumori / si spegne anche l’insegna / di quell’ultimo caffè / le strade son deserte / deserte e silenziose, / un’ultima carrozza / cigolando se ne va”. Capolavoro. E come ogni capolavoro, non si scopre subito, ma arriva al successo anni dopo, quando Mimmo trionfa nel mondo con Nel blu dipinto di blu. Qui sono i colori del cielo, là sono le oscurità della notte a raccontare: “Ha il cilindro per cappello / due diamanti per gemelli / un bastone di cristallo / la gardenia nell’occhiello / e sul candido gilet / un papillon, / un papillon di seta blu / s’avvicina lentamente / con incedere elegante / ha l’aspetto trasognato / malinconico ed assente / non si sa da dove vien / ne dove va / chi mai sarà / quell’uomo in frac.”