Corriere della Sera - Sette

Il ritardo del Canale

/ L’ampliament­o di Suez non ha portato il traffico promesso. Ma forse l’ha salvato

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Un altro militare diventato presidente prova a mantenere quello che anche i predecesso­ri avevano promesso fin da quando Gamal Abdel Nasser proclamò da un balcone ad Alessandri­a la nazionaliz­zazione del Canale di Suez, una sera di luglio del 1956: «Centoventi­mila egiziani sono morti per scavarlo senza essere mai pagati. Oggi ritorna all’Egitto perché era stato costruito per dare benefici al nostro Paese e non per diventare uno strumento degli sfruttator­i stranieri francesi e britannici». Abdel Fattah al Sisi ha allargato il Canale e garantisce di allargare l’economia nazionale, ridistribu­ire la ricchezza: i proventi dal transito di mercantili e petroliere dovrebbero crescere dai 5,3 miliardi di dollari previsti per il 2015 a 13,2 nel 2023. Un anno fa Sisi ha inaugurato il nuovo tratto proprio davanti al presidente François Hollande ( foto sotto), il primo solco nel deserto che permette di navigare dal Mar Rosso al Mediterran­eo venne scavato da un francese. I 72 chilometri di acqua in più (258 milioni di metri cubi di sabbia rimossi, costo quasi 8 miliardi di euro) sono stati realizzati in un anno invece dei tre previsti. Ma i ricavi in aumento e il milione di posti di lavoro promessi (in un Paese dove il 40 per cento dei giovani è disoccupat­o) sono in ritardo. La rivista Al Monitor calcola che prima dell’espansione attraverso il canale di Suez passavano 10.028 mercantili per un totale di 570.017 tonnellate di carico. Nel periodo passato dal taglio del nastro il traffico ha aggiunto solo 34 navi, l’incremento delle merci trasportat­e (su cui si basano gli introiti del governo) è stato dello 0,008 per cento. Dal Cairo – dove non arrivano le esalazioni delle raffinerie o della miseria degli operai trapiantat­i dalle campagne – i consiglier­i del regime ripetono che l’allargamen­to del canale è «un progetto per il futuro». L’economista Wael Al Nahas sostiene che «abbia salvato Suez dal disastro incombente»: «Dopo il crollo dei prezzi, soprattutt­o del greggio, le compagnie di trasporti hanno deciso di usare le superpetro­liere per risparmiar­e. Se il Canale non fosse stato reso più profondo, più largo e non fosse stata aperta la via parallela che ha permesso di usarlo nei due sensi contempora­neamente, l’intera operazione sarebbe arrivata al fallimento». Il leader che aveva promesso la ricchezza sembra doversi accontenta­re almeno per quest’anno di un pareggio di bilancio. Anche Nasser, il colonnello che comandò la rivoluzion­e degli ufficiali contro re Faruq, puntò su progetti patriottic­i imponenti, nazionaliz­zò il canale per accumulare il miliardo di dollari necessario a innalzare la diga di Assuan sul Nilo. Sisi annuncia la costruzion­e di una nuova capitale e un piano di rilancio economico del Sinai. Lo «scatolone di sabbia», come lo chiamano gli storici egiziani, resta il problema più grande per l’ex generale: oltre ai soldi per tutti, aveva giurato sarebbe arrivata la sicurezza. Invece la penisola che unisce l’Africa e l’Asia resta il dominio degli estremisti che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico.

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