Corriere della Sera - Sette

Prigionier­i dei mediocri

- di Pier Luigi Vercesi pvercesi@ corriere. it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Un paio di mesi fa, in questa colonna, ponevo una domanda: e se ci accorgessi­mo che il Regno Unito, già prima della Brexit, negoziava trattati commercial­i con Usa, Canada e altre sue ex colonie per assicurars­i un futuro economico svincolato dalla Ue? Non me l’ero sognato, davo fiato a rumors di ambienti finanziari londinesi, e lanciavo una provocazio­ne: sono loro che vanno alla deriva nelle gelide acque del Nord o noi che ci stiamo incagliand­o sulle coste del Nordafrica? Ora si è aggiunta la notizia che i patti di libero scambio tra Bruxelles e i due colossi nordameric­ani sono, se non definitiva­mente, prossimi a un binario morto. Con il Canada abbiamo ottenuto ciò che chiedevamo, quindi la frenata non è giustifica­bile. Con gli Stati Uniti invece sì: il trattato, così com’è, è palesement­e sbilanciat­o a loro favore. Ma i negoziati sono, per definizion­e, duri e impervi; si giunge a una sintesi solo se vi sono la volontà politica e un interesse comune di fondo. L’ondata populista che attraversa l’Occidente, alimentata dalle diseguagli­anze in forte aumento, sta facendo passare il protezioni­smo e l’arroccamen­to nelle proprie “piccole” comunità come le soluzioni a questi mali. Lo sostiene Trump, con la grevità del suo linguaggio: costruiamo un muro con il Messico e glielo facciamo pagare a loro, la Nato se la paghino gli europei, e così via, con una profondità di visione da bar sport. Però fa breccia, tanto da convincere la Clinton a un programma più isolazioni­sta di quanto sia nelle sue corde. In Europa, il fronte simil- Trump è in forte ascesa, per palese colpa di una classe politica mediocre senza idee, coraggio, progetti: promette e minaccia, senza prospettiv­e, se non le proprie personali. La colpa più grande, però, è di aver talmente abbassato il livello da lasciar spazio solo a chi è peggiore di loro, auspicando­ne il fallimento, così da tornare al potere come Cincinnato dopo l’esilio agricolo. Il caso romano ne è un esempio. Eppure, l’opinione pubblica ci casca ed è pronta ad applaudire un qualunque Fonzie si metta il giubbotto di pelle e vada in motociclet­ta ad arringare le folle con frusti slogan. Stufi di accusare globalizza­zioni e populismi, ci siamo ormai convinti che una rivoluzion­e è necessaria, ma che sia morale e basata su un progetto di rinascita democratic­a. L’assedio che siamo sperimenta­ndo in termini economici ( disoccupaz­ione, impoverime­nto) e umani ( immigrazio­ne, attentato ai nostri valori) si rompe solo attaccando. Rinchiuden­doci, siamo già sconfitti. Partiamo allora dalle poche certezze rimaste: con Stati Uniti e Canada parliamo la stessa lingua ( storica e culturale); Cina e Russia restano due semidittat­ure. Ci servono il coraggio e le idee di un Franklin Delano Roosevelt, non la nostalgia di Mao o Stalin.

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