Rubens e la Sibilla dal mento “pesante”
/ Riapparsa dopo 30 anni un’opera, riconosciuta da Testori, del maestro fiammingo. Che per la profetica vergine ha usato le fattezze di una dama reale, virtuosa ma non bella
Appare ora, imprevedibilmente, di Pieter Paul Rubens la Sibilla Persica ( Ritratto in veste di Sibilla Persica?), fin qui sconosciuta, e da 30 anni celata in una collezione lombarda. Sarà esposta, a partire dal 16 settembre, ad Amelia, in palazzo Petrignani, in occasione dell’Ameria Festival. Il dipinto ( olio su tela, cm. 105x77), secondo la perizia autografa datata 2/ 9/ 1986, di Giovanni Testori, che lo attribuisce senza ombra di dubbio a Rubens, rappresenterebbe un Ritratto di dama, assunta a simbolizzare la Fede cristiana incentrata sul culto mariano ( come testimoniano il libro aperto con la scritta verso cui la nobildonna punta l’indice e il monocromo con la Vergine colta nel suo ruolo di dominatrice del male). In realtà, proprio gli attributi segnalati da Testori impongono il riconoscimento dell’effigiata nella Sibilla Persica, nota anche col nome di Sambeta, regolarmente associata alla profezia della nascita di Cristo dalla Vergine, sottomettendo la bestia demoniaca per la salvezza del genere umano ( Ecce bestia conculcaberis et gignetur dominus in orbe terrarum, et gremium virginis erit salus gentium et pedes eius in valitudine hominum). L’iconografia delle pagane Sibille, interpretate in chiave cristiana da Lattanzio, viene codificata, più o meno contemporaneamente a una precisa serie di stampe riferite a Baccio Baldini dalle Discordantiae nonnullae inter SS Hieronymus et Augustinum, Sibyllarum et prophetarum de Christo vaticinia ( 1481) di Padre Filippo Barbieri, che per la Persica prevedono, oltre che i versi dell’oracolo prima riferiti, anche la veste dorata e il capo velato. Nell’opusculum de vaticiniis Sibillarum corredo illustrato delle Discordantiae, stampato dal tedesco Jacob Köbel intorno al 1514, la Persica viene pertinentemente rappresentata col capo coperto e in veste damascata, e con ricami operati in oro, così come appare nel presente dipinto. In quanto alla scelta di rappresentare una sibilla non in vesti antiche, greco- romane o biblico- orientali, secondo la consuetudine più diffusa, ma contemporanee, essa è propria dell’ambiente fiammingo, risalendo (olio su tela, cm 105x77), collezione privata, ora in mostra ad Amelia, a Palazzo Petrignani. almeno al Polittico di Gand dei Van Eyck, dove la “Cumana” è dotata, come questa “Persica”, di pelliccia, sintomatica di una condizione sociale elevata. Alle Prophetiae Sibyllarum, la prima delle quali è proprio quella della Persica, è dedicato l’omonimo componimento del fiammingo Orlando di Lasso, fra i massimi musicisti del tempo, conosciuto a partire da qualche anno dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1594; i versi musicati sono riportati nella serie di stampe, importante per gli sviluppi del soggetto in area nordica, realizzate nel 1601 dal ritrattista olandese, attivo anche ad Anversa, Crispijn de Passe, peraltro senza relazioni stringenti con questo dipinto, se non per il fatto che la Persica, quasi nella posa di un’annunciata sorpresa durante la lettura, vi appare, diversamente da come ci si potrebbe attendere per via dell’iscrizione circolare entro cui è racchiusa (“omnium vaticinantium vetustissima”), ancor giovane, con il volto non coperto. Versione aggiornata della stessa serie De Passe è quella stampata nel 1615, con la Persica che a campo pieno, frontale e a mezzo busto, ma ancora col libro in mano e i capelli in gran parte sciolti, cinti da diadema e corona di alloro appena visibili; è partendo da queste caratteristiche tipologiche che dovette muoversi la Sibilla Cumana d’area anversana, riferita all’ambito di Jacob Jordaens, o, meno probabilmente, di Frans Snijders, la cui impostazione va considerata la più vicina a quella del dipinto qui in esame, malgrado non ne condivida il fondo oscurato, all’antica fiamminga, e la proiezione nell’epoca contemporanea. Va confermata l’attribuzione a Rubens, compatibile con gli aspetti qualitativamente più elevati dell’opera ( la capacità di ravvivare e rendere penetrante lo sguardo di una donna non altrimenti attraente, la lucentezza dell’incarnato, morbido e palpitante, l’uso della lumeggiatura esteso anche alla resa raffinatissima dei panneggi, le ombreggiature in punta di pennello, con le unghie della mano destra rimarcate nel contorno rispetto a quelle della sinistra), nel pieno della fascinazione per la pittura veneta e per Tiziano specialmente, in un periodo, ad Anversa, che può essere compreso fra il 1615 e il 1622 circa, quando la maniera, già mobilissima, si mantiene comunque solida e plastica. Così come potrebbe essere successo anche per la Sambeta di Hans Memling o per quella di Ambrosius Benson oggi al Museo Nazionale di Varsavia, non è da escludere, vista la caratterizzazione di alcuni aspetti fisici dell’effigiata ( in particolare la pesantezza del mento, troppo accentuato anche per uno che non disdegnava il vero come Rubens, tale da avvicinarne i tratti a quelli, riprodotti altrove da Jacob Jordaens, della Dama col pappagallo di Indianapolis, o per certi versi anche della Caterina Balbi Durazzo di Van Dyck), che il dipinto non riproduca fattezze generiche, ma sia un ritratto in veste sibillina di una donna di condizioni sociali elevate, dotata di virtù morali e intellettuali ( l’illuminazione mentale, assistita dal volere divino, è la qualità per eccellenza della profetessa) e di età non avanzata, in opposizione alla vecchia lectio, fatta anche da Michelangelo della Cappella Sistina, secondo cui la Persica andava ritenuta la più anziana delle sibille, in quanto risalente a un tempo remoto.