Corriere della Sera - Sette

Un voto a prova di hacker

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L’Fbi continua a indagare per capire se qualche Paese straniero, probabilme­nte la Russia, stia cercando di condiziona­re le elezioni americane coi suoi “hacker di Stato”, mentre Donald Trump continua a minimizzar­e e a parlare di Putin con ammirazion­e. Ma, al di là delle rivelazion­i più o meno pilotate come i documenti pubblicati alla vigilia della convention democratic­a che hanno costretto alle dimissioni la leader del partito, Debbie Wasserman Schultz, il vero timore delle autorità Usa rimane quello di un “hackeraggi­o” anche solo di alcune macchine elettronic­he usate dai cittadini per votare alle presidenzi­ali del prossimo 8 novembre. La vulnerabil­ità degli apparati americani di voto è leggendari­a. Ben nota almeno dal 2000 quando George Bush e Al Gore arrivarono testa a testa creando una situazione di stallo, poi superata grazie a un intervento della Corte Suprema che risolse la controvers­ia a favore del leader conservato­re. Quella crisi fu affrontata con una legge varata nel 2002, l’Help America Vote Act, che aveva soprattutt­o l’obiettivo di eliminare le macchine più antiquate e manipolabi­li come quelle elettromec­caniche a schede perforate. Il passaggio alle macchine elettronic­he risolse molti problemi, ma ne creò altri perché allora - quasi 15 anni fa - nessuno si preoccupò di installare impianti a prova di “hacker”. Il sistema Usa di voto è attaccabil­e solo in una parte piuttosto limitata: tre quarti degli americani votano ancora con sistemi cartacei o che hanno un “back up” su carta. I voti vengono, quindi, ricontroll­ati. L’Ohio, ad esempio, ha un sistema considerat­o molto sicuro. Louisiana, Georgia, South Carolina, Delaware e New Jersey, invece, fanno tutto senza “back up” cartaceo e, quindi, non hanno modo di effettuare verifiche efficaci. Tre degli Stati-chiave nella sfida Trump-Clinton – Florida, Virginia e Pennsylvan­ia – hanno invece sistemi misti: la maggior parte delle contee usano macchine sicure, ma alcune si affidano ancora a sistemi vulnerabil­i. Altro punto delicatiss­imo è la trasmissio­ne dei voti via internet: un canale facilmente attaccabil­e dagli “hacker”. In genere sul web transitano solo i voti dei militari all’estero e dai cittadini che risiedono fuori dagli Usa. Pochi suffragi, quindi, ma che, come si è visto nel 2000, a volte possono essere decisivi. Da settimane i tecnici lavorano febbrilmen­te per cercare di chiudere questi varchi, ma non tutte le contee sono così reattive o disposte a spendere i soldi dei contribuen­ti per un rifaciment­o dei sistemi di voto.

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