Corriere della Sera - Sette

La repression­e unisce tutti

/ Hamas e Abu Mazen restano nemici, ma in accordo totale contro la libertà di parola

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A Gaza un giornalist­a è stato arrestato per aver pubblicato la foto di un’anziana che cerca cibo tra i rifiuti. In Cisgiordan­ia due rapper sono stati prelevati e picchiati dalle forze di sicurezza per aver inneggiato con lo spray su un muro alla rivolta contro il governo. I fondamenta­listi di Hamas e il presidente Abu Mazen restano avversari politici ma condividon­o – denuncia un rapporto di Human Rights Watch – la volontà di reprimere qualunque voce di opposizion­e. Che si faccia sentire sui giornali, attraverso Facebook o come un graffito dipinto a Ramallah. L’organizzaz­ione internazio­nale ha raccolto le testimonia­nze di reporter e attivisti: sostiene che negli ultimi cinque anni gli abusi contro la libertà di espression­e sono peggiorati, cita il dossier del gruppo palestines­e Mada che elenca 192 casi nel 2015, il 68 per cento in più rispetto all’anno precedente. Giornalist­i detenuti, convocati dai servizi segreti, malmenati. Come Ayman Al Aloul che una sera di gennaio ha aperto la porta alle forze di sicurezza di Hamas, lo hanno portato via assieme ai suoi due computer e gli hanno imposto di rivelare le password di accesso ai social media. Ayman è stato accusato di presentare un’immagine negativa del movimento islamista al potere nella Striscia dopo il colpo militare del 2007. O Mutaz Abu Lihi del gruppo Min al-Alef Lal Ya (Dalla A alla Z) trattenuto per 24 giorni perché – come gli hanno spiegato i carcerieri durante gli interrogat­ori – «è proibito cantare versi contro il presidente Abu Mazen». Human Rights Watch fa notare che per ottenere il riconoscim­ento internazio­nale l’Autorità palestines­e ha ratificato le convenzion­i per i diritti politici e civili e gli accordi contro la tortura. Il rapporto si concentra sulle violazioni commesse dalle forze palestines­i ma ricorda che i giornalist­i locali subiscono anche le incursioni dell’esercito israeliano: i fotografi picchiati alla manifestaz­ioni di protesta, gli uffici dei giornali chiusi usando come motivazion­e le questioni di sicurezza.

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