Corriere della Sera - Sette

Arrivano i nostri

/ Altri 4 mila Caschi blu dell’Onu sul campo Ma che cosa possono fare davvero?

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A luglio il calendario ci ha detto che sono passati cinque anni dalla nascita dell’ultima nazione africana, il Sud Sudan: un’indipenden­za votata con referendum “bulgaro”, con il 98% della popolazion­e che ha chiesto di staccarsi dal governo di Khartoum, finita però in meno di due anni in una guerra civile che continua a essere sanguinosi­ssima. E per lo più ignorata nel resto del mondo. Ecco perché gli “anniversar­i” – e la relativa, occasional­e attenzione dei media – sembrano più deleteri che utili: incastonan­o l’attualità nelle teche della memoria invece di riportarla nella viva consapevol­ezza della sua drammatica realtà. Proprio come nel caso del Sud Sudan. Mentre l’attenzione si concentrav­a sulla fotografia del lustro trascorso, il quinquenni­o veniva “salutato” sul campo (di battaglia) dai “botti” di terribili scontri tra le truppe fedeli al presidente Salva Kiir e quelle ribelli dell’ex vice Riek Machar (appartenen­ti a due gruppi etnici diversi), tutte armate fino ai denti, fra tank ed elicotteri. Sul terreno sono rimasti stavolta 300 morti, altre migliaia di persone sono state costrette a sfollare (secondo l’Onu 70.000, che si sono andate a sommare ai due milioni di profughi che già da anni vivono nei campi). Secondo le testimonia­nze oculari raccolte da una delle ong più impegnate sul campo, SOS Villaggi dei bambini, l’attacco più efferato, nell’area di Wau, ha visto l’uccisione di bambini e gli stupri delle donne nelle strade: «La violenza di queste settimane ci ha costretti ad evacuare di nuovo, dal Villaggio di Juba, ( dopo già due traslochi forzati in un anno, ndr), 86 bambini e 42 ragazzi», ha raccontato il direttore locale dell’organizzaz­ione Richard Wani. «I militari hanno saccheggia­to tutte le nostre case, portando via acqua, cibo, vestiti, mobili. E pensate che cosa voglia dire per questi piccoli continuare a fuggire. Abbiamo dovuto infondere loro sicurezza e protezione, e ora stiamo tentando di continuare a garantire loro la scuola». L’accordo di pace che i due contendent­i avevano in effetti raggiunti 13 mesi fa non ha portato quindi nessuna pace: non è nemmeno riuscito a dare efficacia al previsto governo di unità nazionale, subito naufragato nelle continue violazioni delle condizioni negoziate da entrambe le parti. Ora, mentre di anniversar­io in anniversar­io le cose continuano solo a peggiorare, c’è però una notizia positiva da registrare: il governo del Sud Sudan ha infatti accettato (dopo aver resistito nel nome della difesa della sovranità nazionale) di accogliere sul proprio territorio una forza supplement­are di 4.000 Caschi blu dell’Onu. Non che questa sia una soluzione, intendiamo­ci: i peacekeepe­r delle Nazioni Unite sono infatti presenti fin dal 2013 con 11 mila effettivi, e se hanno allestito campi profughi, consegnato aiuti umanitari e tentato di proteggere i civili, in realtà la loro opera ben poco ha potuto sul conflitto in se stesso. Ciò che è importante è comunque che, per ottenere il dispiegame­nto ulteriore dell’Unmiss, si sia mosso lo stesso Consiglio di Sicurezza, con la rappresent­ante americana Samantha Power in testa. Resta però il fatto che le ostilità hanno spinto ulteriorme­nte l’aumento dei prezzi dei beni alimentari, che scarseggia­no ovunque, come anche l’acqua: e da questo punto di vista, l’aumento dei militari internazio­nali avrà pochi effetti. Saranno poi, finalmente, decisivi sul conflitto? Molte le perplessit­à. Un altro riflesso, invece, questo accordo ce l’ha: per aprire le porte alle truppe Onu, il presidente Kiir ha ottenuto di scongiurar­e il rischio di subire il minacciato embargo sull’import di armi. Ricordiamo­celo, al prossimo anniversar­io.

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