Euripide
Deve riscrivere, altrimenti gli ateniesi (e le ateniesi) potrebbero addirittura condannarlo a morte
Fedra, quella che conosciamo, quella alla quale questo nome ci fa pensare, è una donna perdutamente innamorata del figliastro Ippolito, nato da una precedente relazione del marito Teseo con un’amazzone. A farla innamorare è stata Afrodite, la dea dell’amore, che vuole così vendicarsi di Ippolito che, fedele alla dea vergine Artemide, rifiuta sprezzantemente le nozze. L’amore di Fedra è incolpevole, dunque, ma lei, moglie e madre perfetta, pur di non cedere alla tentazione si lascia morire. Questa, la Fedra nota grazie all’Ippolito di Euripide, racconta il precipitare della tragedia: la nutrice di Fedra, credendo di aiutarla, svela a Ippolito il suo segreto, ovvero che Fedra lo ama. Inorridito, Ippolito si abbandona a una terribile, celebre invettiva contro le donne. Fedra è disperata, la voce del suo colpevole amore potrebbe spargersi, la sua fama di donna onesta potrebbe essere messa in dubbio, la reputazione dei suoi figli rovinata. Unica possibile soluzione, il suicidio. Ma, prima di mettere in pratica il suo progetto impiccandosi, traccia su un biglietto, che si lega al polso, una terribile accusa: Ippolito ha approfittato di lei. Il finale, superfluo a dirsi, è altamente drammatico. Teseo maledice il figlio, scacciandolo dalla reggia e dalla città e chiedendo a Poseidone di dargli la morte. Ippolito prende la via dell’esilio e muore travolto dai suoi cavalli imbizzarriti. Nel frattempo, Artemide svela a Teseo la verità, ma è troppo tardi. Riportato a Palazzo, Ippolito muore tra le braccia del padre, quasi fuori di senno per il dolore e il senso di colpa. Questa, la storia resa celebre dall’Ippolito, ma non è l’unica storia di Fedra che Euripide mise in scena. Alcuni anni prima dell’Ippolito coronato ( questo il titolo completo della tragedia andata in scena nel 428 a. C.), Euripide aveva presentato agli ateniesi un Ippolito velato, di cui sono rimasti pochi frammenti, peraltro sufficienti a farci capire che, a differenza della seconda, la prima Fedra non intendeva affatto rinunciare al suo amore. Al contrario, tentava di convincere Ippolito a ricambiarla. Era una donna inconsueta, diversa, ardita, che scandalizzò i benpensanti ateniesi. Era una Fedra la cui storia seguiva un modello di racconto che – con delle varianti – si ritrova in India, in Cina e nelle Sacre Scritture: una donna matura ed esperta s’innamora di un giovane uomo onesto e virtuoso, che respinge il suo amore. Quando questo accade, la donna provoca o cerca di provocare la morte del giovane. Nella Genesi, lo schema torna nella storia di Giuseppe e la moglie di Putifarre: Giuseppe, schiavo di Putifarre e oggetto delle avance della moglie di questi, per rispetto verso il padrone, che ama come un figlio, rifiuta le insistenze della donna. Per vendicarsi, questa lo accusa di avere insidiato la sua virtù, e Putifarre fa arrestare e imprigionare Giuseppe ( che peraltro viene salvato da Jahvé). Ma gli ateniesi non ammettevano che le loro donne si comportassero in quel modo, neppure sulla scena. La Fedra descritta nel