Un’epidemia di verità
Nel paese della bugia, la verità è una malattia. Lo diceva Gianni Rodari in una delle sue filastrocche cinquant’anni fa, quando non c’era Internet e i social network erano i bar, le parrucchiere, le sezioni di partito, la bocciofila, il droghiere, la portineria. Il pettegolezzo, sussurrato in un telefono senza fili, partiva come una palla di neve e tornava indietro come una valanga. Se non era una bugia, era un’allusione, una mezza verità, uno sghignazzo che servivano a denigrare il prossimo, ad annientarlo. Oppure a farne un campione di ribalderie, perché l’altro versante è proprio questo: furbizia e bugia sono spesso considerate, alla nostra latitudine, una dote privata, almeno fino a quando – ed è inevitabile avvenga – non finiscono per nuocere. Tutti lo sappiamo, ma nonostante l’esperienza, dobbiamo continuamente sperimentare l’irreparabile, un suicidio o una reazione sproporzionata, per averne orrore; salvo scordarcene a riflettori spenti, come per i terremoti, gli incidenti, il bullismo, la corruzione. Dev’essere la nostra condizione di uomini, antica quanto noi: se ne trova traccia nella letteratura di tutti i tempi. Mai come in questo tempo globale, però, dove tutto dovrebbe essere trasparente e verificabile, siamo oppressi dalle menzogne, al punto da non riuscire più, neanche in buona fede, neanche riflettendo a fondo, a discernere il falso dal vero o, quantomeno, dove stia l’interesse pubblico. È certo un sintomo della crisi economica. Ma soprattutto l’effetto di un cambiamento radicale e repentino della società a livello mondiale. Credo avesse ragione lo storico Fukuyama quando, alla caduta del Muro di Berlino, sostenne che la Storia era finita. Solo che omise di teorizzare che un’altra ne stava cominciando, ed era più simile a un romanzo di fantascienza, dove è la menzogna a muovere molti ingranaggi. Lo vediamo nello spettacolo delle elezioni americane, lo abbiamo visto con la Brexit, lo sperimentiamo nella campagna referendaria italiana. Ma anche nei dati economici, nell’andamento delle Borse, nella medicina e nelle previsioni climatiche. Non riusciamo nemmeno a capire se accogliendo i migranti compiamo un atto di umanità o la sciocchezza di portarci in casa un cavallo di Troia che ci annienterà. E il dubbio che sorge è atroce, lacerante, perché obbliga a rinunciare ora a parte dei propri valori e delle proprie convinzioni per evitare che vengano strappati completamente e violentemente, quei valori, ai nostri figli. Mi consolano le conclusioni di Rodari: così come la bugia, anche la verità è infettiva; insistendo a dirla, anche se per questo ci trattano da malati, come nella filastrocca può diventare un’inarrestabile epidemia.
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