Chi scrisse: «Al cuore, Ramón, al cuore»?
/ È la battuta più bella del primo film western di Sergio Leone. Forse, la battuta più bella dell’intero cinema italiano. Segue dibattito
ell’intervista su Sette di due settimane fa ( numero 36), Gianni Amelio ha raccontato con ironia e divertimento ( suo e dei lettori e, se permettete, anche di chi lo intervistava) come si facevano certi western all’italiana negli anni Sessanta e Settanta. Molto tempo dopo quella stagione ( gloriosa? ma sì, gloriosa) è dovuto arrivare Quentin Tarantino per dare a quei film ( variamente bistrattati) quello che era di quei film. I ricordi di Amelio mi hanno fatto tornare in mente un vecchio libro sull’argomento di Luca Beatrice ( pubblicato nel 1996, edizioni Tarab). Quel libro ha, secondo me, il titolo più bello della storia dell’editoria italiana: Al cuore, Ramón, al cuore.
NMUSICA DI DAN SAVIO. « Al cuore, Ramón, al cuore! » è la battuta più bella di Per un pugno di dollari, il primo western ( 1964) di Sergio Leone ( che allora si faceva chiamare Bob Robertson), mentre la musica del film ( « magnetica e indimenticabile » , scrive Luca Beatrice) era di uno sconosciuto musicista che si firmava Dan Savio ( era in realtà Ennio Morricone, anche lui americanizzatosi all’anagrafe come imponeva il marketing in vigore all’epoca dei primi western all’italiana). « Al cuore, Ramón, al cuore! » lo dice Clint Eastwood, Lo Straniero, a Gian Maria Volonté, il pistolero messicano Ramón Rojo, durante un duello all’ultimo sangue. Ma, forse, è riduttivo dire che « Al cuore, Ramón, al cuore! » è la più bella battuta del western all’italiana. « Al cuore, Ramón, al cuore! » è la più bella battuta del cinema italiano e sfido chiunque a trovarne una che la superi. Oltre a lanciare una sfida, inoltro una preghiera. C’è qualcuno che sa chi materialmente scrisse quella battuta? Oltre a Sergio Leone, lavorarono alla sceneggiatura Tonino Valerii, Duccio Tessari, Fernando Di Leo, Victor Andrés Catena, Jaime Comas Gil. Chi fu l’autore della memorabile frase?
CANTANO LE COLT. Un discorso ( e un sottogenere letterario) a parte è quello dei titoli degli spaghetti western. Qualche esempio: Le colt cantarono la morte e fu: Tempo di massacro ( regia di Lucio Fulci, con Franco Nero e Nino Castelnuovo). Era uno di quei titoli che quando finivi di leggerli sui cartelloni ti sembrava di avere già visto il film. Da soli erano già un « prossimamente » , un trailer. Poi c’erano quelli più secchi, che suonavano come un ordine, un ultimatum. Tipo: Gringo, getta il fucile ( regia di Joaquín Luis Romero Marchent, musica di Gianni Ferrio). C’erano anche quelli con il “non”: Jessy non perdona... uccide ( una coproduzione Spagna, Italia, Germania, nel cast, in quota tedesca, Mario Adorf). Oltre a Gringo e a Jessy, c’era Ringo, che diventò l’eroe eponimo del western all’italiana: Ringo, il volto della vendetta; Tre colpi di Winchester per Ringo; Uccidete Johnny Ringo ( ma allora era un cognome!). Poi il grande Bruno Corbucci, decise un giorno che era l’ora che due tra gli eroi più citati si ritrovassero nello stesso film. Ed ecco Ringo e Gringo contro tutti ( tra gli attori, Raimondo Vianello e Lando Buzzanca), una reunion come succedeva nei film mitologici a Ercole, Ursus e Maciste ( e, volendo, Totò e Peppino).
Gianni Amelio ha riaperto (vedi cover story di Sette 36) la discussione sul genere “spaghetti”, sui Ringo, Gringo Django e Jessy di casa nostra
Il termine è un prestito dal francese complot, a sua volta derivate dal latino complictum (“complicato, intrecciato”); originariamente starebbe per “trama, imbroglio, accordo segreto”. È una parola che negli ultimi anni si è trasformata in una specie di passepartout, la spiegazione perfetta per ciò che non può essere spiegato. Volete mettere un complotto evocato ad arte, carico di mistero, vago, senza responsabili, con la lineare spietatezza della verità? Per molti dei nostri concittadini, a quanto pare, non c’è gara.