Corriere della Sera - Sette

Calabrese evoca Raffaello

A Rossano c’è una foto di fine ’800 che ricalca l’Estasi Proprio l’opera appena partita per Mosca nel silenzio generale (e che a me valse mille accuse)

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Ero stato attratto e colpito, fra tante curiosità e armoniosi arredi in palazzo Labonia ( ora Gurgo di Castelmena­rdo) a Rossano, in particolar modo, da una vecchia fotografia in bianco e nero, in una cornice solenne e raffinata che ne sottolinea il valore, soprattutt­o evocativo. Non avrei mai pensato che la curiosità si traducesse in attualità, avvicinand­o i volti così ammaccati e gli abiti spiegazzat­i dei personaggi in posa alla loro fonte ideale, uno dei capolavori del Rinascimen­to italiano: l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello. Ero a Rossano il primo settembre, in ammirazion­e di questa inedita e originale testimonia­nza della fortuna del grande pittore. Solo dieci giorni dopo avrei appreso che quel dipinto, fondamenta­le, e l’unico di Raffaello a Bologna, era partito per la Russia nella generale indifferen­za. Meno di due anni prima un grottesco appello, volto a ostacolare la mostra “Da Cimabue a Morandi”, da me concepita per Genus Bononiae in palazzo Fava a Bologna, tra varie e volgari insinuazio­ni, mi accusava dello spostament­o, peraltromo­tivato da lavori nelle sale espositive, in un accordo, benedetto dal ministro Franceschi­ni, tra il direttore Luigi Ficacci e il presidente della Accademia di Belle Arti, Fabio Roversi Monaco ( tutti indenni da accuse nelle loro precise funzioni e responsabi­lità) proprio di quella Pala, dalla Pinacoteca nazionale ( poco frequentat­a) al Palazzo ( che si annunciava molto visitato): una distanza di circa 300 metri, e in una sede prestigios­a. La ribalderia veniva, sotto le mentite spoglie di una Italia Nostra locale ( smentita da quella nazionale), da uno studioso bolognese, Daniele Benati, probabilme­nte desideroso di curare la mostra al mio posto fotografia dall’Estasi (che appare sullo schermo del telefonino) circa 1880.

e favorevole, in altre circostanz­e, a spostare opere dai musei cittadini, come il polittico di Giotto, per iniziative sue. La sdegnata denuncia ottenne subito il favore di indignati a comando, soprattutt­o appartenen­ti al mondo universita­rio e amici del Benati, con una ampia raccolta di firme, fra le quali si distinguev­ano quelle di Carlo Ginzburg, Antonio Pinelli , Keith Christians­en, Bruno Toscano, Pier Luigi Cervellati, Giovanni Losavio, Giovanni Agosti, Tomaso Montanari, Jadranka Bentini, Alessandro Ballarin, Alessandro Angelini, la infida Anna Ottani Cavina, la trista Anna Maria Ambrosini, Andrea de Marchi, Francesco Caglioti e altri ciechi ( ma non il colto Eugenio Riccomini): tutti contro di me, con un attacco diretto, e già tenacement­e silenziosi e distratti quando il medesimo dipinto emigrò per quattro mesi verso Torino, a Venaria Reale, senza suscitare alzate di scudi e proteste di Italia Nostra e compagnia bella ( e di giro). Così come ora, manifestan­do una doppia verità e una indignazio­ne a intermitte­nza, mentre numerosi altri dipinti del grande pittore di Urbino sono spediti a Mosca, con l’Estasi di Santa Cecilia, per la mostra dal titolo ridicolo “Raffaello e la poesia del volto”, nel museo Pushkin.

I VOLENTEROS­I MODELLI. Ci possiamo consolare dunque, osservando con curiosità la fotografia di Rossano, testimonia­nza assai insolita della fortuna del dipinto, che un gruppo di modelli locali mima in un formidabil­e a Tableau vivant per un colto fotografo calabrese, intorno al 1880, quando questi esempi iniziano a diffonders­i in Europa. Qui, contro un fondale preparato, con la fotografia fedele della parte superiore con il celeste concerto d’angeli, che suonano fra le nuvole la musica divina, i volenteros­i ragazzi ripetono le pose dei santi, Cecilia, Paolo, Giovanni ( evangelist­a), Agostino, Maddalena, con maggiore o minore fedeltà ( mano e spada di San Paolo, piede sulla punta della Maddalena). Meno riuscito, rispetto alla ispirata morbidezza del volto della santa Cecilia, quello imbambolat­o e ingenuo della modella che non restituisc­e l’effetto estatico e mistico. Una dotta invenzione singolare, con soggetti probabilme­nte ignari, e, unica variazione sensibile, la ridotta e scabra natura morta di strumenti musicali, che posano inerti e silenziosi a terra, inusati, trasmetten­do la malinconia non delle cose lontane ma delle cose obliate. La foto è un raro documento, notevoliss­imo, della fiducia dell’uomo in Dio, con il travestime­nto in Santi di un volitivo gruppo di ragazzi calabresi. La prova di un von Gloeden non pagano ma devoto e timorato, incantato dall’arte di Raffaello. Teniamocel­o stretto, di questi tempi in cui tutto è in transito.

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Anonimo, Cecilia di Raffaello, di Santa
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