Corriere della Sera - Sette

Il comandante-profeta e il fotografo in esilio

/ Massud, eroe della resistenza anti-sovietica, e Reza: una complicità di 16 anni interrotta dal terrore islamico due giorni prima dell’attacco alle Torri

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ella primavera del 1992, quando il Comandante dell’Alleanza del Nord sta per entrare a Kabul alla guida di 600 carrarmati, accanto a lui c’è Reza. Il fotografo iraniano, un ex architetto in esilio che aveva sperimenta­to le prigioni dello Shah per tre anni e la tortura per cinque mesi, aveva conosciuto il Leone del Panjshir nel 1985 ai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanista­n. Dal 1979 Massud aveva rinunciato ai panni dell’ingegnere civile e li aveva sostituiti con quelli logori dei mujaheddin di cui era capo e profeta: aveva individuat­o e addestrato i primi cento combattent­i che avrebbero sfidato per dieci anni ( e sconfitto) la superpoten­za sovietica e aveva ordinato loro di fare altrettant­o di villaggio in villaggio alla ricerca di adepti. L’amicizia tra il condottier­o che sognava l’istruzione per le bambine e il fotografo, che si era consolidat­a attorno al gioco degli scacchi e ai versi di Ferdowsi, durò 16 anni. Reza lo scovava ovunque sulle montagne ogni volta che il lavoro, o la nostalgia, lo spingevano a quelle latitudini. L’ultima volta nel 2000, quando lo incontra per il National Geographic ( lui fa parte degli Explorer, l’élite della rivista). Il 9 settembre 2001 Massud, 48 anni padre di sette figli, è vittima di un attentato: la sua morte essenziale per stroncare la Resistenza all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle. “Colui che è fortunato”, questo significa il nome Massud, dopo 20 anni di combattime­nti aveva esaurito i crediti della sua buona stella.

NIn alto Massud recluta i mujaheddin per la resistenza contro l’invasore sovietico. Valle del Panjshir, 1985. Sopra. Reza e il comandante fotografat­i da Abdullah Abdullah, 1990. UNA QUESTIONE DI PRINCIPI Solo due mesi prima Reza, con il fratello Manoocher Deghati, aveva fondato in Afghanista­n Aina ( in persiano “lo specchio”) per educare donne e bambini all’uso dei mezzi di comunicazi­one. Tra i suoi allievi il Pulitzer Massud Hossaini. Il valore aggiunto della fotografia gli era chiaro da tempo. Nel 1994, mentre copre la guerra in Rwanda che aveva causato due milioni di rifugiati, Reza ne addestra qualche decina ( è ancora l’era pre- digitale). Il risultato sono 12 mila fotografie in mostra che ricongiung­ono 3.500 bambini con le famiglie. Per trent’anni il fotografo firma le storie di copertina del National Geographic che a sua volta produce vari film per la tv che si basano sui suoi diari al fronte. È l’autore di 17 libri di fotografia, è stato insignito dei premi più prestigios­i, ha ricevuto il più alto riconoscim­ento civile francese... Reza, che serba il comandante nel cuore, ha pubblicato un tributo, A Bearer of Light , in cui ripercorre le tappe della complicità con Massud e cita le sue ultime parole all’unico figlio maschio, Ahmad di 13 anni, il più piccolo: « Se muoio per i princìpi per cui ho lottato tutta la vita, non voglio che tu pianga o che il tuo cuore tremi » . ( Rachel Deghati, moglie del fotografo, ha prodotto con Arte il film su Massud Resistence).

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Nell’obiettivo del consiglier­e-dottore
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