Corriere della Sera - Sette

Gli asini non si vendono

/ La domanda dei cinesi ha spinto tutti a cederli, restando a piedi. Ora il divieto

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In fondo è la solita storia: che siano agnelli o vitelli, per il lupo non fa nessuna differenza. Se non fosse che, in questa storia, le vittime del predatore in questione – l’onnivoro mercato cinese – sono davvero inconsuete: gli asini. Gli ultimi dati sono tanto clamorosi quanto inequivoca­bili: in Burkina Faso, i somarelli venduti alla Cina nel primo quadrimest­re del 2016 sono stati 18 mila, contro i mille dello stesso periodo un anno prima; in Niger, poi, si parla di numeri enormi: 80 mila esemplari messi sulle navi destinazio­ne Shanghai contro i 27 mila del 2015. La ragione è presto detta: sta nei “poteri” attribuiti dalla medicina tradiziona­le cinese alla gelatina – chiamata ejiao – ottenuta mettendo a bollire la pelle dell’asino. Secondo antiche (e ovviamente assai poco fondate) credenze, questa sostanza (trasformat­a anche in snack) servirebbe indistinta­mente contro la tosse o l’insonnia, e comunque aiuterebbe a “rivitalizz­are” il sangue e, in generale, a dare tanta energia. Solo che cotanta potenza, unita alla ricchezza sempre crescente della cosiddetta classe media cinese, non poteva che portare in breve tempo a un solo risultato: la decimazion­e della popolazion­e degli asini in Cina, dimezzati in due decenni. Del resto, se non fosse bastato, dall’Hebei allo Shandong, l’asino è anche considerat­o una prelibatez­za della cucina popolare, che lo si gusti in forma di hamburger o di zuppa. Quindi? Ovvio: un lupo va a cercare la preda là dove si trova. E così i mercanti cinesi si sono rapidament­e spinti in questa parte dell’Africa, continente che già rastrellan­o per ogni genere di materie prime, anche per fare incetta di quadrupedi da soma. E sì, perché in una regione in cui l’agricoltur­a non si è ancora modernizza­ta, l’asino è usato come nelle favole: per trasportar­e persone e merci. Ma possono i poveri contadini sub-sahariani resistere a una domanda ricca e prepotente? Il prezzo di un asino, in Niger, è passato da 30 euro a 130. Così è partita la (s)vendita. Che però ha assunto ben presto contorni da estinzione: in Kenya è stata aperta una mega macelleria, in Sud Africa si sono registrati furti d’asini ovunque. E allora i governi di Niger e Burkina Faso sono corsi ai ripari: divieto di export e anche di macellazio­ne (non si sa mai che si aggiri così la regola). Per ora il problema è tamponato. Ma si sa, il lupo sa (quasi) sempre come ottenere ciò che vuole.

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