Peppe Servillo,
Per declinare il senso delle parole cultura e illusione
Esistono grandi utopie non realizzate. La pace è una di queste. Utopie realizzate sanguinosamente, come l’uguaglianza, e altre ancora aperte – penso all’Europa o alle città come luogo possibile di convivenza tra ceti sociali diversi. E poi ci sono le utopie quotidiane, quelle dei piccoli gesti che possiamo compiere ogni giorno » . Si muove sul filo sottile che lega aspirazioni e realtà Marino Sinibaldi, direttore di Radio3, quando parla di utopia, tema che ha sempre esercitato grande fascino su scrittori e pensatori di ogni tempo e che è stato scelto come filo conduttore di Materadio, la festa di Radio 3, ormai alla sesta edizione, che si terrà tra le vie, le piazze e i Sassi di Matera dal 23 al 25 settembre. La manifestazione trae spunto da un anniversario, i 500 anni dalla pubblicazione dell’opera di Thomas More ( Tommaso Moro, per gl’italiani), L’Utopia, che descrive il viaggio immaginario di Raffaele Itlodeo in una fittizia isola- regno, abitata da una società ideale.
C’è bellezza e bellezza. Da lì il festival prende le mosse per un viaggio tra i diversi modi di declinare l’utopia « in un momento nel quale l’interesse per l’immaginazione utopica è debole » , continua Sinibaldi; e lo fa attraverso incontri con esponenti del mondo della cultura ( Edoardo Albinati, Umberto Galimberti, Nuccio Ordine, Luigi Zoja), senza tralasciare la musica ( Stefano Bollani, Peppe Servillo, Daniele Sepe, l’Orchestra Sinfonica Abruzzese, la banda Rulli Frulli) e il teatro ( Moni Ovadia, Armando Punzo). « L’idea di que- Sopra, la facciata della Matera antica, città dei Sassi. Sulla destra, il musicista Stefano Bollani (in alto) e l’attore, scrittore e compositore Moni Ovadia (in basso).
sta festa è nata anni fa dalla coincidenza con i primi passi del progetto “Matera capitale della cultura 2019”, che allora poteva sembrare utopico perché Matera era poco conosciuta, spesso legata a un’immagine di degrado architettonico e civile, e doveva competere con altre candidate come Siena, Lecce, Perugia, dalla natura artistica chiaramente riconosciuta. Ma la cultura non nasce solo dall’alto e da lontano, come un brano di Mozart. È anche questo, certo, ma è solo una dimensione. Oltre alla cultura che arriva dal passato, da non trascurare, ne esiste un’altra che scaturisce dai territori e dalle contraddizioni. Ecco, per apprezzare la bellezza di Matera ci vuole intelligenza, devi saperla vedere, non ha l’evidenza abbagliante del Duomo di Siena. A questo serve la cultura » . Resta aperta la questione se siano le grandi utopie o, piuttosto, le “utopie minimaliste”, come le ha chiamate Luigi Zoja, cioè le piccole azioni quotidiane, a cambiare davvero il mondo. « Sono sensibile alle utopie e ai gesti quotidiani come elemento di responsabilità » , risponde Sinibaldi. « Le grandi utopie sono finite male. Bisogna fare attenzione perché l’utopia rischia di essere una via d’uscita retorica, una sorta di consolazione. Penso però che qualche idea grande di mondo dobbiamo averla. Natalia Ginzburg diceva che ai figli si devono insegnare non le piccole virtù ma le grandi. Non ho simpatia per i grandi architetti del mondo, anzi, penso che dobbiamo lavorare come muratori più che come architetti. Però le idee e le aspirazioni ci devono essere. Bisogna praticare le minime utopie quotidiane sentendo in sé il grande respiro del mondo. Un orizzonte più ampio dà senso ai piccoli gesti » . E forse la risposta sta proprio lì, in quelle parole che Italo Calvino scrisse a conclusione de Le città invisibili, una lettura che, non a caso, scandirà i giorni del festival: « Cercare e riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio » . Forse è questa la più grande delle utopie minime.