Il mondo si è capovolto
Quand’ero bambino, nelle case più umili, negli oratori e nei circoli cattolici non mancava mai un poster con papa Giovanni XXIII e il presidente John F. Kennedy che camminavano fianco a fianco spargendo sementi in un solco appena dissodato. Quell’immagine, anche se non veniva riconosciuto in pubblico, piaceva persino ai segretari di sezione del Pci, che la vedevano appesa nel tinello delle loro madri o delle loro zie. Era un’icona di speranza, nata quando, tra Baia dei Porci e altre provocazioni, si temeva un terzo conflitto mondiale. Allora era fresca la memoria della guerra, dei nazionalismi e dei populismi che avevano portato al potere comunismo, fascismo e nazismo. Ho rivisto il poster leggendo gli interventi, a poche ore di distanza, degli eredi di quei due uomini: papa Francesco, al meeting delle religioni di Assisi, e Barak Obama, nel suo ultimo discorso alle Nazioni Unite. Due figure moralmente non inferiori ai loro predecessori. Due discorsi lucidi su cui riflettere per non cadere in trappole già sperimentate. Entrambi parlano alle coscienze. Francesco, da uomo di Dio, mette l’accento sulla malattia del nostro tempo: l’indifferenza che scaturisce dai deserti dell’orgoglio, degli interessi di parte e del guadagno ad ogni costo. Obama, da politico, implora un cambiamento di rotta: chi sbandiera i vantaggi della globalizzazione spesso non vuole vedere le ineguaglianze prodotte tra le nazioni e al loro interno; se i problemi reali vengono negati, prendono piede visioni alternative come il fondamentalismo religioso, le politiche etniche, il nazionalismo aggressivo, il becero populismo... La risposta, per entrambi, non è il rifiuto dell’integrazione – del resto impossibile –, bensì l’operare affinché i vantaggi siano condivisi. Ma, al contrario di quanto accadeva cinquanta e passa anni fa con il poster appeso sui muri dei più deboli, oggi i più deboli i muri li vogliono erigere, respingendo e sbeffeggiando le parole di chi prende le loro parti per seguire gli imprenditori della paura che mettono a reddito politico, di voti, l’insostenibile disagio. Non hanno soluzioni, i nuovi pifferai, perché non hanno una visione del passato, del presente e del futuro; ma hanno buon gioco, perché chi ci governa – e apparentemente crede ancora nella democrazia – non ha il coraggio di guardare in faccia alla realtà. Se lo facesse, sa che dovrebbe ripensare la democrazia occidentale come un mondo diverso dall’attuale, basato sulla sottrazione del poco che hanno in tanti per accumularlo nelle tasche dei pochi che hanno moltissimo. Dicono che così funzionano gli investimenti e creano ricchezza. Ma ricchezza per chi? Si esasperano milioni, miliardi di persone, e si lascia lo spazio per teorizzare che la democrazia liberale ha fallito.
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