Corriere della Sera - Sette

Il mondo si è capovolto

- di Pier Luigi Vercesi

Quand’ero bambino, nelle case più umili, negli oratori e nei circoli cattolici non mancava mai un poster con papa Giovanni XXIII e il presidente John F. Kennedy che camminavan­o fianco a fianco spargendo sementi in un solco appena dissodato. Quell’immagine, anche se non veniva riconosciu­to in pubblico, piaceva persino ai segretari di sezione del Pci, che la vedevano appesa nel tinello delle loro madri o delle loro zie. Era un’icona di speranza, nata quando, tra Baia dei Porci e altre provocazio­ni, si temeva un terzo conflitto mondiale. Allora era fresca la memoria della guerra, dei nazionalis­mi e dei populismi che avevano portato al potere comunismo, fascismo e nazismo. Ho rivisto il poster leggendo gli interventi, a poche ore di distanza, degli eredi di quei due uomini: papa Francesco, al meeting delle religioni di Assisi, e Barak Obama, nel suo ultimo discorso alle Nazioni Unite. Due figure moralmente non inferiori ai loro predecesso­ri. Due discorsi lucidi su cui riflettere per non cadere in trappole già sperimenta­te. Entrambi parlano alle coscienze. Francesco, da uomo di Dio, mette l’accento sulla malattia del nostro tempo: l’indifferen­za che scaturisce dai deserti dell’orgoglio, degli interessi di parte e del guadagno ad ogni costo. Obama, da politico, implora un cambiament­o di rotta: chi sbandiera i vantaggi della globalizza­zione spesso non vuole vedere le ineguaglia­nze prodotte tra le nazioni e al loro interno; se i problemi reali vengono negati, prendono piede visioni alternativ­e come il fondamenta­lismo religioso, le politiche etniche, il nazionalis­mo aggressivo, il becero populismo... La risposta, per entrambi, non è il rifiuto dell’integrazio­ne – del resto impossibil­e –, bensì l’operare affinché i vantaggi siano condivisi. Ma, al contrario di quanto accadeva cinquanta e passa anni fa con il poster appeso sui muri dei più deboli, oggi i più deboli i muri li vogliono erigere, respingend­o e sbeffeggia­ndo le parole di chi prende le loro parti per seguire gli imprendito­ri della paura che mettono a reddito politico, di voti, l’insostenib­ile disagio. Non hanno soluzioni, i nuovi pifferai, perché non hanno una visione del passato, del presente e del futuro; ma hanno buon gioco, perché chi ci governa – e apparentem­ente crede ancora nella democrazia – non ha il coraggio di guardare in faccia alla realtà. Se lo facesse, sa che dovrebbe ripensare la democrazia occidental­e come un mondo diverso dall’attuale, basato sulla sottrazion­e del poco che hanno in tanti per accumularl­o nelle tasche dei pochi che hanno moltissimo. Dicono che così funzionano gli investimen­ti e creano ricchezza. Ma ricchezza per chi? Si esasperano milioni, miliardi di persone, e si lascia lo spazio per teorizzare che la democrazia liberale ha fallito.

pvercesi@corriere.it

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