Corriere della Sera - Sette

Cogito dunque sono José Mourinho

È il filosofo del calcio dei nostri giorni: sproporzio­nato, talvolta assurdo, fazioso sempre. Per questo mi piace, perché è vero

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Quando uno legge ciò che dicono tutti quelli che José Mourinho non vale niente, è finito, uno sconfitto, e poi anche quando vinceva bisogna vedere come, metteva il bus davanti alla porta e via col contropied­e, insomma è un sopravvalu­tato, e ben gli sta che l’ha battuto perfino Mazzarri col Watford, e delle ultime trenta partite tra Chelsea e Manchester United ne ha perse quasi la metà, e ha comprato Pogba per un sproposito, eccetera eccetera, viene sempre da chiedersi: ma che cosa deve aver fatto un uomo ( o una donna) nella sua vita per essere definito un grande ed entrare definitiva­mente nel novero di quelli- chenon- si- discutono? So, con queste righe, di infilarmi nel vespaio delle polemiche tra mourinhist­i e anti mourinhist­i che dividono l’Italia come tra guelfi e ghibellini fin dalle due folgoranti stagioni che l’allenatore portoghese ha vissuto a Milano. Ma voglio dichiarare qui la mia sconfinata ammirazion­e e per l’uomo e per il tecnico. Discutere il valore di uno che ha vinto due Champions League ( più una Europa League) con due squadre diverse, e per dirla tutta con due squadre minori, perché tali erano dal punto di vista internazio­nale sia il Porto sia l’Inter quando José le ha innalzate sul tetto d’Europa, innalzando a sua volta almeno un trofeo all’anno per dieci anni di seguito, è ridicolo. Ci sono intenditor­i di calcio - magari quelli che Mourinho con il suo solito e corrosivo sarcasmo ha definito i “football Einsteins” - per i quali non c’è dubbio alcuno che Guardiola sia un genio e Mourinho null’altro che un furbacchio­ne senza arte né parte. Eppure Guardiola ha vinto due È ridicolo discutere il valore di Mourinho che ha vinto due Champions League (più una Europa League) con due squadre diverse, e minori. Champions anche lui, e tutt’e due con il Barcellona, e nell’arco di tre sole stagioni. E con Messi.

POLITICAME­NTE SCORRETTO. Se proprio si volesse fare un paragone di caratura tecnica, accetterei solo quello con Carletto Ancellotti, forse il più grande in circolazio­ne, tre volte con la Champions ( più una quarta persa in modo irripetibi­le), per la sua duttilità e per la capacità di affermarsi in ambienti e piazze molto diverse e molto esigenti, da Milano a Madrid. Ma allora, se le cose stanno così, perché in tanti disprezzan­o, contestano, talvolta odiano Mourinho? Perché il portoghese è uno dei pochissimi uomini di calcio non politicame­nte corretti, un tipo che ama la rissa, cui piace sentire l’odore del nemico, come memorabilm­ente proclamò nei suoi anni interisti. « Uno che insegna a non accettare mai la sconfitta » , come ha detto di lui Didier Drogba, per forza di cose diventa indigesto a tutti quelli che non tifano per lui. Lo so, in questo modo ha più volte infranto il cliché decouberti­niano ma ipocrita che domina nelle interviste del dopo partita agli allenatori. Gente che guadagna decine di milioni, mercenari che vivono immersi in un mondo dove i soldi sono tutto, eppure hanno il coraggio di parlare di calcio come se fosse una disciplina olimpica, tutta fair play e rispetto degli avversari. Ecco, secondo me Mourinho è il filosofo del calcio dei nostri giorni. Sproporzio­nato, assurdo talvolta ( pagare 120 milioni per Pogba è assurdo), fazioso sempre. Per questo mi piace. Perché è vero.

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