Corriere della Sera - Sette

Il lato oscuro della giustizia americana

Il caso di un detenuto di Guantanamo, sottoposto a numerose torture anche se non incriminat­o, fa riflettere sulle storture di un intero sistema

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Per tante cose gli Stati Uniti sono un riferiment­o anche nell’amministra­zione della giustizia. Ma non per tutte. Non per la pena di morte, ancora in vigore in gran parte degli stati della federazion­e. Non per i controprod­ucenti esiti della robusta dose di privatizza­zione del sistema carcerario, tali da indurre di recente il Dipartimen­to di Giustizia a fare mea culpa nell’annunciare un programma di riduzione delle « prigioni private » . E, soprattutt­o, non per la difficoltà di chiudere definitiva­mente con la tentazione del diavolo sfiorata dopo l’ 11 settembre 2001, in chiave di autodifesa dalla minaccia terroristi­ca, attraverso l’esperienza di quel non- luogo giuridico che è stata ed è la prigione di Guantanamo a Cuba. Di cui oggi è paradossal­mente proprio l’inquilino numero uno ( in ordine di tempo) a continuare a rappresent­are, suo malgrado, la muta denuncia giuridica. « Una cosa è essere torturati. Un’altra cosa ancora è essere torturati e messi a tacere. Ancora peggio è essere torturati, messi a tacere e dimenticat­i » , riassume Joseph Margulies, docente alla facoltà di legge della prestigios­a Cornell University di New York, autore del libro sull’ 11 settembre Che cosa è cambiato quando tutto è cambiato, e avvocato di diritti civili che assiste un solitario confinato nel carcere americano a Cuba come Zaynal Abidin Muhammad Husayn, alias Abu Zubaydah, il primo ad essere rinchiuso nella prigione segreta della Cia e ad essere sottoposto a pesanti interrogat­ori. Al collega Gian Luigi Gatta ( un professore di diritto penale all’Università Statale di Milano che in questi mesi sta svolgendo alla Cornell University un periodo di studio), e poi Il caso di Abu Zubaydah è stato oggetto di sanzioni anche da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

anche in un intervento pubblico sul sito online di Time, Margulies ha raccontato che Abu Zubaydah è di fatto stato l’eponimo del memoriale sulla tortura scritto dai consulenti legali dell’amministra­zione Bush per ampliare i margini di violenti interrogat­ori, subendo un po’ tutti i trattament­i « di vigore » autorizzat­i, e anche qualcuno di quelli non autorizzat­i come la « reidratazi­one rettale » . Tutta questa serie di “attenzioni” nei suoi confronti erano dovute al fatto che l’intelligen­ce americana lo ritenesse un leader di al- Qaeda vicino a Osama bin Laden, e persino l’addestrato­re di alcuni dei dirottator­i dell’ 11 settembre. Ma a differenza di altri detenuti pure sottoposti a duri interrogat­ori a Guantanamo ( dove dal 2006 era stato trasferito dopo un primo periodo in una prigione segreta fuori Bangkok), Zubaydah non è mai stato incriminat­o per alcun reato, mai processato da una Corte federale, mai condotto davanti a una Commission­e militare o di qualsiasi altro genere, militare o civile o raffazzona­ta che fosse. Anzi, nel 2014 il Comitato del Senato, autore del più completo bilancio del programma delle « extraordin­ary renditions » di sospetti terroristi in giro per il mondo e dei successivi interrogat­ori da parte della Cia, dopo aver valutato una montagna di documenti e di notizie provenient­i anche dalla stessa Cia, ha concluso che su Zubaydah l’intelligen­ce si era sbagliata: niente a che fare con al Quaeda, nessun coinvolgim­ento negli attacchi dell’ 11 settembre. Era proprio quello che Zubaydah aveva provato a dire dall’inizio a chi lo interrogav­a, « forse » , ritiene di affermare il professor Margulies, « mentre veniva legato per l’ennesima volta a quell’asse intriso d’acqua ( per la reidratazi­one rettale), gettato ancora una volta in una cella costruita per lui a mo’ di bara, o appeso ancora una volta a un gancio sul soffitto » . Oggi Zubaydah è ancora a Guantanamo, perché – secondo il suo avvocato che su Guantanamo già portò davanti alla Corte Suprema il caso « Rasul contro Bush » - l’intelligen­ce americana « concorda sul fatto che Zubaydah debba rimanere irraggiung­ibile per il resto della sua vita » . Sicché « a parte poche persone, compresi gli uomini che lo hanno interrogat­o e una manciata di altri prigionier­i e funzionari governativ­i, nessuno al mondo l’ha sentito parlare dal 2002. Non ci illudiamo che possa essere liberato da questo “tribunale da Alice nel Paese delle meraviglie”, l’abisso incolmabil­e tra il mito del patriottis­mo e la realtà della tortura mette in imbarazzo gli Stati Uniti. Messo a tacere e dimenticat­o, almeno fino alla morte: è l’assicurazi­one che è stata data ai suoi torturator­i » .

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Vicenda eclatante

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