La puntura dello scorpione che fa volare le utilitarie
Sinonimo di auto “truccate” e con qualcosa in più in sprint e velocità, la casa specializzata in sistemi di dei motori è stata sempre nei cuori degli italiani come icona di simpatica trasgressività
Abarth
Abarthizzare. A cavallo degli anni 60, il verbo corrispondeva a un sogno per molti italiani: Per una quota ancora maggiore, tuttavia, forse evocava un’ossessione. In concreto, si manifestava con un rombo feroce che spuntava dallo scappamento di vetturette all’apparenza tutt’altro che aggressive, le prime automobili del boom economico nazionale: Topolino, poi Fiat 600 e 500. Utilitarie “abarthizzate”, appunto, cioè manipolate in modo da potenziare – con qualche ostentazione – le prestazioni. Appunto, l’oggetto dei desideri di molti giovani e non solo, ma anche il tormento acustico per signore e signori che passeggiavano tranquilli per strada. E pensare che la storia era nata nel clima tutt’altro che fragoroso e appariscente della “finis Austriae”, nella Vienna al tramonto dell’impero asburgico cantata da Joseph Roth. Era nato lì, il 15 novembre 1908, Karl Albert Abarth. Il padre – Karl anche lui, meranese d’origine – era un sottotenente dell’esercito imperiale e dopo la guerra si era trasferito nella città natale a gestire un albergo di famiglia, mentre a Vienna erano rimasti la moglie e il figlio. Il quale aveva già dimostrato una precocissima inclinazione ai motori e alla velocità. Certo, una foto all’età di cinque anni lo ritrae compunto e impettito dentro un’infantile divisa dell’esercito austroungarico, ma già poco tempo dopo un’altra immagine lo mostra in giubbetto di pelle da aspirante pilota. E, del resto, i biografi tramandano un altro episodio dell’adolescenza: poco più che decenne, il piccolo Karl partecipa alle gare in monopattino tra i ragazzi del quartiere, ma vincono sempre i più grandi; lui, allora, taglia una cintura e riesce a incollarla sulle ruote di legno migliorando tanto l’aderenza da battere tutti i rivali.
Spirito corsaiolo. Soprattutto, si appassiona subito alla meccanica. Traffica con pignoni, viti “senza fine” ( quelle che trasmettono il movimento alla ruota), selenoidi e via dicendo: appena possiede una bicicletta – una Bastide – non la usa solo per correre ( dimostrandosi fortissimo allo sprint) ma la studia, la smonta, la disseziona, per alleggerirla e renderla più