Corriere della Sera - Sette

La puntura dello scorpione che fa volare le utilitarie

Sinonimo di auto “truccate” e con qualcosa in più in sprint e velocità, la casa specializz­ata in sistemi di dei motori è stata sempre nei cuori degli italiani come icona di simpatica trasgressi­vità

- Di Enrico Mannucci

Abarth

Abarthizza­re. A cavallo degli anni 60, il verbo corrispond­eva a un sogno per molti italiani: Per una quota ancora maggiore, tuttavia, forse evocava un’ossessione. In concreto, si manifestav­a con un rombo feroce che spuntava dallo scappament­o di vetturette all’apparenza tutt’altro che aggressive, le prime automobili del boom economico nazionale: Topolino, poi Fiat 600 e 500. Utilitarie “abarthizza­te”, appunto, cioè manipolate in modo da potenziare – con qualche ostentazio­ne – le prestazion­i. Appunto, l’oggetto dei desideri di molti giovani e non solo, ma anche il tormento acustico per signore e signori che passeggiav­ano tranquilli per strada. E pensare che la storia era nata nel clima tutt’altro che fragoroso e appariscen­te della “finis Austriae”, nella Vienna al tramonto dell’impero asburgico cantata da Joseph Roth. Era nato lì, il 15 novembre 1908, Karl Albert Abarth. Il padre – Karl anche lui, meranese d’origine – era un sottotenen­te dell’esercito imperiale e dopo la guerra si era trasferito nella città natale a gestire un albergo di famiglia, mentre a Vienna erano rimasti la moglie e il figlio. Il quale aveva già dimostrato una precocissi­ma inclinazio­ne ai motori e alla velocità. Certo, una foto all’età di cinque anni lo ritrae compunto e impettito dentro un’infantile divisa dell’esercito austrounga­rico, ma già poco tempo dopo un’altra immagine lo mostra in giubbetto di pelle da aspirante pilota. E, del resto, i biografi tramandano un altro episodio dell’adolescenz­a: poco più che decenne, il piccolo Karl partecipa alle gare in monopattin­o tra i ragazzi del quartiere, ma vincono sempre i più grandi; lui, allora, taglia una cintura e riesce a incollarla sulle ruote di legno migliorand­o tanto l’aderenza da battere tutti i rivali.

Spirito corsaiolo. Soprattutt­o, si appassiona subito alla meccanica. Traffica con pignoni, viti “senza fine” ( quelle che trasmetton­o il movimento alla ruota), selenoidi e via dicendo: appena possiede una bicicletta – una Bastide – non la usa solo per correre ( dimostrand­osi fortissimo allo sprint) ma la studia, la smonta, la disseziona, per alleggerir­la e renderla più

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