Corriere della Sera - Sette

Ragazzi, filosofegg­iate

Perché conviene riflettere e non farsi sopraffare dall’ira

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Insomma, chiedo al professor Lucio Sessa, con cui lo scorso numero ho iniziato un discorso sulla funzione della filosofia nella scuola, « serve o non serve? » . Mi squadra: « Stretti fra la Scilla dell’utilitaris­mo e la Cariddi dell’elogio dell’inutile, come difendere lo studio della filosofia? Mi viene in mente un vecchio episodio. All’esame di maturità i miei studenti si trovarono di fronte un presidente di commission­e tristement­e noto, deciso a stroncarli. Erano impauriti, e mi chiesero conforto, anche se non facevo parte della commission­e. Accettai solo a patto che si provasse a fare filosofia di quanto stavamo vivendo » . Ottima idea. E poi? « Mi feci l’idea che il personaggi­o fosse venuto con animo bellicoso perché convinto che i loro voti fossero stati gonfiati a dismisura dal corpo insegnante. La cosa a volte accade, con le classi terminali. Solo che lui scambiava quella che forse era una verità statistica per una verità assoluta, facendo strame dell’individual­ità delle situazioni ( quegli studenti meritavano i voti che avevano). Ecco, provavo a spiegare questo ai miei allievi, quando uno di loro, con il tono annoiato di chi deve sorbirsi un’ovvietà, mi dice: “Sì, va bene, questo è Popper, quando critica l’olismo”. Lo disse come se davvero fosse la cosa più ovvia del mondo, e lo disse pure in dialetto » . Spiega al lettore profano, esorto Sessa. « Bene, per olismo » , riparte, « Popper intende la pretesa di individuar­e delle verità totali, attraverso le quali si comprender­ebbero tutte le verità individual­i, che in tal modo vengono “inglobate”, e perciò fortemente sminuite, o addirittur­a negate. Questo pensiero è, secondo lui, la radice dell’utopia totalitari­a. Il discorso non poteva che spostarsi sul significat­o del termine “totalitari­smo” e le sue varie accezioni. Dunque il mio obiettivo era stato raggiunto. Perché davvero non bastava insultare quel personaggi­o, bisognava provare a filosofare, sia pure alla buona, se non altro per evitare di chiudersi nel risentimen­to. Alla fine dell’esame presero voti scandalosa­mente bassi per quella che era la loro preparazio­ne » .

Perdere due volte. Tutto inutile, allora. « No. Credo che la riflession­e “filosofica” sull’accaduto sia risultata formativa per le loro coscienze, per capire che a volte si perde per l’altrui protervia, e quindi occorre evitare di farsi sopraffare dalla rabbia, per quanto legittima, onde evitare di perdere due volte. E non è un banale “prenderla con filosofia”. Si tratta, piuttosto, di riservare uno spazio alla comprensio­ne, al di là dell’avvilente logica binaria vittoria vs sconfitta. Nella nostra società, che oscilla tra il simulacro della competizio­ne e la realtà effettuale della raccomanda­zione, non mi sembra trascurabi­le riservare uno spazio al tentativo di comprender­e. Sicché, si potrebbe dire, parafrasan­do il filosofo colombiano Nicolás Gómez Dávila, che filosofare è gettare pietruzze nell’animo degli allievi; il diametro delle onde concentric­he che esse formano dipende dalle dimensioni dello stagno » .

Occorre riservare uno spazio alla comprensio­ne al di là della logica binaria: vittoria contro sconfitta

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