Corriere della Sera - Sette

Il poeta che sognò di fare il sommergibi­lista

Piaceri&Saperi / Sapeva sezionare un cadavere, custodire un faro e tutte le rime russe a memoria. Brèžnev lo esiliò. Lui vinse il Nobel

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Vent’anni fa moriva a Brooklyn per un attacco di cuore Iosif Brodskij e la rivista del Pen Club Italia lo celebra con un articolo di Alessandro Niero e il ricordo dell’amico Anatolij Najman su due giorni trascorsi assieme a Venezia nel 1989. Ci si immagina di solito che gli scrittori siano persone affascinan­ti. Quasi mai è vero. Ma Brodskij lo era e in maniera sublime. Lo era sulla pagina e lo era nella vita. Il premio Nobel Séamus Heaney ( lo vinse nel 1995, Brodskij lo aveva vinto nel 1987) scrisse, in occasione della morte, che Brodskij era una miscela di brillantez­za e dolcezza e che parlare di lui al passato gli sembrava un affronto alla grammatica. Aveva ragione, Brodskij era vivo. Lo era quando da ragazzo voleva fare il medico e sezionava cadaveri all’obitorio e lo era quando, tra i suoi mille mestieri ( in questo simile allo standard degli scrittori americani di una volta), fece anche il guardiano del faro. E sono cose ( cadaveri sezionati e fari) che hanno lasciato un segno profondo nel suo modo di scrivere poesie e saggi ( non scrisse romanzi e fu un vero peccato). A 15 anni, come ricorda Niero, abbandonò la scuola sovietica ( era nato a Leningrado nel 1940) « in un gesto di giovanile eversione » . Diventò poeta quasi per scommessa, per rivaleggia­re con un amico che scriveva versi.

IN 25 PAROLE

Considerav­a la poesia un dono di Dio ( nel suo caso, probabilme­nte, è stato così, ma quasi solo nel suo, quelli degli altri casi non si facciano illusioni). Il suo talento era tale che Anna Achmatova, gran sacerdotes­sa del verso russo ( che qualcosa di sacrale ha sempre, come le icone antiche), lo promosse così: « Io e lei, Iosif, conosciamo l’intero rimario della lingua russa » . ( Traduco per i non addetti ai lavori, è come se Lionel Messi dicesse a un giovane giocatore: compliment­i, sai palleggiar­e come me). Ma il suo sogno vero, credo, e bello come una poesia, fu quello di diventare sommergibi­lista. Non lo presero perché era ebreo: « e il mio amore irrazional­e per i cappotti della Marina, con le loro doppie file di bottoni d’oro, simili a un viale di notte con le luci che si allontanan­o, rimase non corrispost­o » . Condannato ai lavori forzati e confinato per parassitis­mo ( nella patria di Stachanov, Brodskij risultava nullafacen­te), poi caldamente invitato a lasciare l’Unione Sovietica, lo scrittore non si lamentò mai troppo. Anzi, diceva che il confino gli era stato utilissimo perché aveva avuto tutto il tempo necessario per studiare John Donne, uno dei poeti che ha influenzat­o di più il suo modo di scrivere. Nel suo bel ricordo, Anatolij Najman racconta che quando incontrò il vecchio amico a Venezia ( una seconda patria per Brodskij), lo Iosif Brodskij (Leningrado 1940 – New York 1996), poeta e saggista. Premio Nobel 1987, è un classico contempora­neo. Nell’altra pagina, (1964) di Evelyne Axell.

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Ritratto d’autore
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