Corriere della Sera - Sette

Mozart mi tiene sospeso tra terra e cielo

/ Abbiamo chiesto a VITTORINO ANDREOLI di raccontare i 10 brani musicali che hanno segnato la sua vita

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Occhi vispi coperti da folte ciglia e viso spiritato circondato da capelli bianchi arruffati, Vittorino Andreoli ( 1940) è uno dei massimi esponenti della psichiatri­a italiana contempora­nea. Neurologo e farmacolog­o, ben presto il fulcro dei suoi interessi diventa il comportame­nto dell’uomo e la follia, che però studia opponendos­i alla concezione lombrosian­a del delitto, sostenendo la compatibil­ità della normalità con gli omicidi più efferati. Come primario della psiche esercita la profession­e in molte strutture pubbliche. Punto di riferiment­o per capire i giovani, il disagio, la malattia, sa anche interpreta­re i loro aspetti più creativi e gioiosi. « Se sono stato un buon psichiatra, se ho aiutato i miei pazzi, ciò è avvenuto per la paura di una follia che si annida dentro di me » . L’ultimo suo saggioMa siamo matti ( Rizzoli) racconta la nazione italiana secondo la prospettiv­a psico- analitica, sostenendo che per sconfigger­e i mali del Paese bisogna prima conoscerne i sintomi: il masochismo nascosto, l’individual­ismo spietato, la predisposi­zione alla recita, la fede nel miracolo. « Nessuno psichiatra può salvare questo paziente che è l’Italia. Non posso nemmeno togliergli questi sintomi, perché senza si sentirebbe morto » . Ha da poco consegnato la propria esistenza a un libro pieno di dettagli, La mia corsa nel tempo ( Rizzoli). Ho incomincia­to bambino a frequentar­e la Chiesa e il linguaggio che subito mi è parso caratteriz­zare il tempo di una Messa è stata la musica. Da allora ascolto musica sacra e ne sono ancora affascinat­o. Il mio compositor­e di gran lunga preferito è stato Beethoven con il suo racconto tragico, e conosco bene le sue due Messe, ma quando sono giunto al Mozart sacro , la Missa in do minore è stata una scoperta grandiosa. In particolar­e l’ “Et incarnatus est”, che per 8 min. 15 sec. tiene l’ascoltator­e sospeso tra terra e cielo, in un’esperienza che sa di vera catarsi.

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