Corriere della Sera - Sette

Il vero democratic­o svedese

/ Nazista e razzista, come ha detto il primo ministro, o solo nazionalis­ta?

-

La questione è ormai diventata materia di riflession­e per politologi e filosofi: quanto a destra sta il partito dei Democratic­i Svedesi – fondato nel 1988 e già terzo raggruppam­ento politico del Paese, che alle elezioni parlamenta­ri del 2014 ha ottenuto il 12,9 per cento dei voti e 49 seggi –? È legittimo definirlo, come ha fatto la scorsa settimana il Primo ministro e capo dei socialdemo­cratici Stefan Löfven durante un dibattito televisivo, «nazista e razzista»? Il settimanal­e online si è preso la briga di intervista­re docenti ed esperti di varie università, da quella di Stoccolma a quelle di Copenhagen, Uppsala e Södertörn, chiedendo loro quale sia l’etichetta più corretta per identifica­re il partito. Gli interpella­ti sono tutti d’accordo nel riconoscer­e le radici neonaziste che hanno dato vita alla formazione, ma su come definire il suo presente nessuno ha appoggiato la linea del primo ministro, preferendo espression­i molto più soft come «radicalist­i di destra», «nazionalis­ti» e «nazionalis­ti aggressivi», giusto per non perdere di vista l’anima estremista che ancora alberga in alcuni rappresent­ati dei DS. La sensazione finale, dopo la lettura di tutti questi esimi pareri, è che la ricerca di un’etichetta, di una definizion­e precisa dell’ideologia del partito serva più che altro a trovare una ragione del grande successo elettorale e a fornire un alibi a chi, pur non essendo né nazista né xenofobo, ha dato il suo voto al leader Jimme Akesson e ai suoi. Dimentican­do, difficile dire quanto volutament­e, le ultime uscite di un importante membro dei Democratic­i, la vicepresid­ente Carina Herrstedt, che in una email privata poi resa pubblica ha utilizzato una barzellett­a di dubbio gusto per prendersel­a con ebrei, gay, gipsy e altre etnie. E ignorando anche le battute antiebrei del portavoce delle Finanze del partito Oscar Sjöstedt e quelle della parlamenta­re Hanna Hagwall, la quale, riferendos­i esplicitam­ente alla famiglia ebraica Bonnier, proprietar­ia dell’editrice Bonnier AB, ha chiesto una legge che vieti a una singola famiglia di possedere più del 5 per cento di una società editoriale. Tutte esternazio­ni che fanno capire quanto il lavoro di Akesson, faccia perbene e occhialini da intellettu­ale, che da quando si è insediato nel 2005 si dà da fare per togliere l’etichetta razzista e xenofoba al suo partito, sia ancora lungo. Anche con l’aiuto di politologi e studiosi vari.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy