L’Europa ci punisce per i transfrontalieri
/ La Corte di Giustizia Ue condanna l’Italia per inadempienza nell’indennizzo di cittadini di altri Stati risultati vittime di reati dolosi violenti
Aforza di girare la testa di qui e fare gli struzzi di là, alla fine ecco che puntuale arriva la condanna dell’Italia in sede europea: stavolta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Lussemburgo, che ha sancito l’inadempienza di Roma e ritenuto che l’Italia, non avendo garantito un indennizzo equo e adeguato alle vittime di tutti i reati dolosi violenti commessi in situazioni transfrontaliere, sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di una direttiva europea del 2004. Gli Stati membri della Ue, infatti, dovevano varare e attuare le leggi e i regolamenti necessari a garantire che le vittime di reati dolosi violenti avessero il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo dell’Unione europea in cui il reato è commesso. Peccato che per 11 anni l’Italia abbia fatto orecchie ( e portafoglio) da mercante, arrivando al massimo nel 2007 a prevedere, a determinate condizioni, la concessione di un indennizzo a carico dello Stato solo a favore delle vittime di reati di terrorismo e criminalità organizzata. La Commissione europea ha allora promosso un ricorso per inadempimento contro l’Italia, rea di non aver creato un sistema generale d’indennizzo in grado di coprire tutte le tipologie di reati dolosi violenti nelle situazioni transfrontaliere ( compresi omicidi, lesioni personali gravi, aggressioni sessuali). L’Italia ha provato a rispondere con una lettura tutta sua della direttiva europea, come se imponesse agli Stati membri unicamente di consentire ai cittadini dell’Unione residenti in un altro Stato di avere accesso ai sistemi di indennizzo già previsti dalle norme nazionali adottate in favore dei Una direttiva Ue impone a ogni Stato membro di adottare, al fine di tutelare la libera circolazione delle persone nell’Unione, misure di indennizzo per i transfrontalieri (nella foto, un simbolo della Corte di Giustizia europea). propri cittadini. Ma la scorsa settimana la Corte Ue ha ribadito che la direttiva impone ad ogni Stato membro di adottare, al fine di tutelare la libera circolazione delle persone nell’Unione, un sistema nazionale che garantisca un livello minimo di indennizzo equo ed adeguato per le vittime di qualsiasi reato doloso violento commesso nel suo territorio. E se è vero che gli Stati membri hanno un margine di autonomia nel delineare la portata della nozione di « reato doloso violento » nel proprio diritto interno, essi non possono però limitare il campo di applicazione del sistema di indennizzo delle vittime soltanto ad alcuni dei reati dolosi violenti, come invece aveva fatto l’Italia circoscrivendolo solo a mafia e terrorismo. E adesso che succede? Il Ministero della Giustizia osserva che la condanna dell’Italia per inadempienza si riferisce alle regole vigenti nel 2011 al momento della procedura di infrazione europea e nel 2014 nella fase del conseguente deferimento davanti alla Corte di Lussemburgo, e poi ancora fino al luglio 2016. Il 7 luglio di quest’anno, invece, per mettersi appunto in regola con la direttiva europea del 2004, l’Italia ha finalmente introdotto alcune modifiche normative attraverso gli articoli 11-/ 16 della legge 122, la quale ora disciplina tutta la materia degli indennizzi alle vittime di reati intenzionali violenti. Pudicamente, però, lo stesso Ministero non sottace una subordinata, e cioè « fatti salvi alcuni necessari aggiustamenti che ancora devono essere fatti » : aggiustamenti non da niente, visto che si tratta dei decreti di attuazione senza i quali la legge non può operare, e che in teoria è previsto siano emanati entro 6 mesi ( dunque c’è tempo ancora solo sino a gennaio) dal Ministero dell’Interno, dopo i pareri di quelli dell’Economia e della Giustizia, per quantificare gli importi « comunque nei limiti delle disponibilità del Fondo di rotazione » , e con precedenza alle vittime di omicidi e stupri.
RISCHIO RETROATTIVO. Resta comunque, anzi si apre soltanto adesso, tutta la partita intermedia degli 11 anni di inadempienza, e cioè delle domande di indennizzo che, dopo la sentenza della Corte Ue, verranno proposte anche per fatti criminosi commessi prima dell’entrata in vigore della legge. Richieste, ammette lo stesso Ministero, che dovranno essere « valutate con tempestività, per recuperare il forte ritardo nel recepimento della direttiva europea e ridurre il sacrificio ai diritti individuali che in tutti questi anni si è consumato » .