Il Vesuvio dimostra che le apparenze ingannano
Durante il suo soggiorno a Francoforte, Giordano Bruno pubblica nel 1591 tre poemi filosofici in latino – De minimo, De monade, De immenso – in cui riprende e sviluppa alcuni grandi temi del suo pensiero già discussi, in parte, nelle opere italiane ( 1582- 1585). Nell’esordio del terzo libro del De immenso, all’interno di una severa critica al geocentrismo degli aristotelici, il filosofo racconta una significativa esperienza compiuta nella sua fanciullezza. Ricorda che un giorno a Nola, suo paese natale, osservando dal ridente monte Cicala ( « circondato da castagni, querce, pioppi, olmi, lieti per l’unione con le viti feconde » ) il maestoso Vesuvio, quest’ultimo gli appariva « brutto, coperto di fumo » , « privo di alberi e giardini » , « oscuro, tetro, triste » . Ma poi, recatosi a visitare il vulcano, la percezione del paesaggio
« La divina maestà della natura è presente dovunque, né potrei tanto facilmente valutare le cose lontane peggiori o migliori di quelle vicine; così ho scoperto che anche noi siamo cielo per coloro che sono cielo per noi; […] altri credettero che la Terra fosse al centro di tutto, mentre, invece, il centro è in tutto ed in ogni parte, cosicché ogni parte può essere parimenti riferita a tutte le parti »
si capovolge completamente: il Vesuvio, che gli era sembrato orribile, gli appare « superbo per la molta vegetazione, ricco di uva pendente » , mentre il monte Cicala, che gli era sembrato bellissimo, ora gli si rivela brullo. Il filosofo, in quel momento, capisce che le apparenze ingannano ( « feci ricredere innanzi tutto i miei occhi ingannevoli » ) , « poiché la distanza muta l’aspetto delle cose, pur mantenendosi esse le stesse » . Un inganno che spiega, in maniera paradigmatica, ciò che accade anche sul piano della cosmologia: i sostenitori della centralità della Terra, infatti, non capiscono che « anche noi siamo cielo per coloro che sono cielo per noi » . Nell’universo infinito non esiste un sotto e un sopra, così come non esiste un centro assoluto. La teoria infinitistica di Bruno distrugge ogni forma di gerarchia: la secolare visione tolemaica e antropocentrica ( la Terra al centro e l’uomo al centro del centro) si sgretola, lasciando posto a un’interpretazione rivoluzionaria del cosmo e della vita. In questa nuova prospettiva, è il singolo essere vivente ( uomo, animale, pianta, poco importa) ad occupare il centro: perché, nell’universo infinito, « le nuvole ed il cielo ed il centro » si spostano con lo spostarsi di chi osserva. Sbagliano coloro che hanno creduto « che la Terra fosse al centro di tutto » . Le cose stanno diversamente: « Il centro è in tutto e in ogni parte, cosicché ogni parte può essere parimenti riferita a tutte le parti » . La “distanza” può indurci in errore: non possiamo « valutare le cose lontane peggiori o migliori di quelle vicine » . L’inganno della visione del Vesuvio non ha solo implicazioni cosmologiche. Potrebbe essere anche un invito a mutare il punto di vista sulle “umane cose”. Solo chi si sforza di uscire dall’asfittico spazio del proprio osservatorio potrà giudicare con cognizione di causa. La scelta di collocarsi sull’altra “sponda” ci permette di « dubitare delle apparenze » , di capire meglio le ragioni dell’ “altro”, di avere una visione più solidale dell’umanità. E, soprattutto, ci aiuta a smascherare ogni forma di fanatismo, di razzismo, di xenofobia. Così, squarciando il velo degli inganni, potremo provare quella stessa gioiosa meraviglia che aveva provato Bruno nello scoprire il vero volto del Vesuvio.